Oggi è il giorno della Rabbia, ma la tensione era salita già martedi notte a Bengasi, dove centinaia di persone hanno ottenuto la liberazione dell’avvocato Fehti Tarbel, membro dell’opposizione. Gli scontri sono proseguiti durante il giorno: sono state ferite decine di persone e vi sarebbero almeno tre morti, secondo il gruppo di 14.000 attivisti Facebook che ha dato il via alle proteste. Ieri a Bengasi è stato arrestato il blogger Mohammed Asheim, mentre sui social network gli attivisti parlavano di “martiri” aggiungendo che “A Dio piacendo per il piccolo tiranno è questione di poche ore”. Gheddafi ha giocato tutte le carte utili a bloccare la protesta. Nella scorsa settimana si è scagliato contro Israele, poi ha scarcerato 110 integralisti islamici, infine ha diminuito i prezzi degli alimenti e allentato il blocco migratorio verso l’Italia, attraverso la Tunisia. Il colonnello sa che le proteste hanno due cause principali: il separatismo della Cirenaica e il desiderio di libertà dei giovani. Per bloccare la rivolta a Bengasi sta utilizzando la forza. Per blandire i giovani ha aperto le casse della Jamahiriya. Secondo alcune voci starebbe offrendo auto in regalo per i neolaureati, mentre 150.000 laptop saranno distribuiti ai membri del Comitato nazionale della Gioventù. Inoltre la società per la Pianificazione e lo Sviluppo urbano ha deliberato un piano di social housing che prevede la costruzione di case e la distribuzione di 1400 ettari di terreni agricoli, destinati ai giovani.
La Libia e le rivolte arabe
La scelta di Gheddafi di usare il bastone e la carota è in linea con le policy di altre nazioni consorelle, a partire dal Bahrein, dove il re ha offerto 2650 dollari a ogni famiglia. Le proteste rischiano di avere conseguenze sul prezzo del petrolio e per gli equilibri geopolitici Usa-Iran, visto che il Bahrein ospita la Quinta Flotta statunitense.
In Arabia re Abdallah utilizzerà il Fondo sociale da 400 miliardi per bloccare la nascita di un nuovo partito islamico e le contestazioni iniziate dopo l’alluvione di Gedda, che ha causato dieci vittime. Gheddafi spera di ripetere in Libia quanto avviene nella vicina Algeria, dove il governo di Bouteflika sopravvive grazie alla corruzione di massa e al supporto diretto dell’esercito.
Difficile invece che si possa ripetere a Tripoli quanto è successo al Cairo. Mentre l’esercito libico è debole, la rivolta in Egitto è stata supportata dall’élite militare che non accettava l’erede designato Gamal Mubarak, figlio dell’ex presidente, un civile troppo inglese (per studi, business e per sangue, essendo sua madre gallese). Nonostante il fervore di una parte della stampa e di al Jazeera, al momento in Egitto non ha vinto la democrazia ma l’esercito, che ha sospeso la Costituzione e assunto tutti i poteri.
L’autonomismo della Cirenaica
La Libia è stata unificata dal regime coloniale italiano e dalla monarchia che ha guidato il Paese fino al golpe del 1969. In precedenza esistevano la Tripolitania, il Fezzan e la Cirenaica con capitale Bengasi, da dove non a caso soffia la nuova rivolta. La Cirenaica era riuscita a imporre re Idris, di etnia senussa, alla guida della nuova nazione, ma Gheddafi impose l’idea sovranazionale panaraba ereditata da Nasser, e infatti nel 1972 la Libia si unì con Siria ed Egitto. L’idea del califfato laico da opporre alla jihad mondiale islamica è ancora oggi il leit motiv di Gheddafi. Si deve quindi tenere conto che dietro la rivolta soffi anche il veto dell’autonomismo della Cirenaica.
L’economia e l’Italia
I libici hanno già un rappresentante nei cda di Unicredit (Tripoli possiede il 4,9% con la banca centrale e il 2,6% con Lia) e di Juventus (7,5%). Oltre ad avere anche un 2% in Finmeccanica. Eni è il primo vettore dell’interscambio italo-libico, e Impregilo è coinvolta nella realizzazione dell’autostrada del Mediterraneo, da collegare con quella in costruzione dal Marocco alla Tunisia.
L’Italia ha chiuso il contenzioso coloniale con Tripoli siglando un piano di contributi da 5 miliardi. Sono però ancora bloccati i 600 milioni di euro di crediti rivendicati invano da 110 nostre aziende che hanno lavorato in Libia. L’interscambio italo-libico ha un saldo negativo per l’Italia di 7,7 miliardi di $ (2009). Le rivolte arabe sono dovute alla penetrazione dei media occidentali ma soprattutto alla mancanza di libero mercato. Il postcapitalismo è stato fagocitato dall’affarismo interstatale, mediato da imprese monopoliste garantite dai rispettivi poteri politici, e ciò ha bloccato lo sviluppo anche nella sponda nord del Mediterraneo. Ora crescono ovunque povertà e disoccupazione: si veda questo video per capire cosa succederà in Libia, se non oggi, nei prossimi giorni.