Non sono bastati i caroselli di cavalli berberi e le giovani hostess che hanno allietato l’ultima visita romana di Muʿammar Gheddafi. Non ha aiutato neppure l’amicizia che lega da tempo il leader nordafricano al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Nonostante l’impegno preso, il Colonnello si rifiuta di onorare i debiti. Centinaia di milioni di euro, in particolare, che da quasi trent’anni deve a 120 piccole e medie imprese italiane. Alla faccia dei rapporti privilegiati che il Governo vanta con i libici.
Per risolvere l’imbarazzante questione, da due anni maggioranza e opposizione hanno presentato in Senato tre disegni di legge (già depositati durante l’ultimo governo Prodi). Documenti all’esame della commissione Finanze di Palazzo Madama proprio in queste settimane.
L’obiettivo è quello di impegnare lo Stato italiano a tutelare le aziende coinvolte, concedendo una garanzia sovrana fissata in 650 milioni di euro. Ma se il Parlamento cerca una soluzione, il Governo frena. Pur di non rovinare i rapporti con Gheddafi, a Palazzo Chigi sembrano voler ostacolare l’iter dei ddl. Un paradosso: in commissione Finanze c’è un accordo bipartisan, ma non si riesce a votare il provvedimento in difesa delle nostre imprese. «Al momento siamo in attesa della commissione Bilancio – spiega Leone Massa, già presidente dell’associazione che rappresenta le società creditrici – dal maggio dello scorso anno avrebbe dovuto esprimere parere favorevole. Ma non fa nulla. Aspetta il nulla osta del ministero dell’Economia, che non arriva».
Massa non nasconde la propria indignazione: «Ormai sono schifato dalle istituzioni – racconta – Il nostro governo non fa nulla per sbloccare questa situazione. E io ormai non mi sento più italiano». Leone era titolare di una società di apparecchiature elettroniche che operava in Nordafrica. Alcuni anni fa, dopo aver eseguito alcuni lavori per il governo della Libia, si è visto rifiutare il pagamento pattuito. Negli anni, persino la corte di giustizia libica gli ha dato ragione. «Il denaro è stato depositato in banca – continua – ma non viene trasferito per ordine di Gheddafi». Nella stessa situazione ci sono altre 120 aziende. Il numero sarebbe persino più alto, ma con i passare degli anni diverse realtà sono fallite e sono scomparse dall’elenco.
Vani, finora, i tentativi di trovare una soluzione alla vicenda. Nel 2002 il premier Berlusconi era riuscito a strappare un impegno della Libia. In un trattato siglato a Tripoli con il colonnello Gheddafi, il Cavaliere aveva ottenuto – almeno sulla carta – il risarcimento delle imprese italiane. Accordo poi saltato, come spiega il dossier di Palazzo Madama allegato ai disegni di legge «per ripensamenti della parte libica». Nell’estate del 2008 Silvio Berlusconi ci riprova. Durante il vertice di Bengasi, firma con il Colonnello il trattato italo-libico di Amicizia e Cooperazione. Anche in questo caso, la cooperazione è a senso unico: l’Italia accetta di versare alla Libia – come compensazione per il passato coloniale – 5 miliardi di dollari. In cambio Gheddafi concede l’istituzione di una commissione congiunta per valutare le situazioni pendenti con le aziende italiane. «Stranamente – ironizza il senatore Pd Giuliano Barbolini, firmatario di uno dei ddl – a due anni dalla firma del trattato, di quella commissione si sono perse le tracce. I casi sono due: l’amicizia millantata con Gheddafi non è reale, oppure ci stiamo facendo prendere in giro dalla Libia».
Ma l’Italia preferisce non alzare la voce. Non solo, per evitare problemi si fa persino carico della rete infrastrutturale del Colonnello. Come stabilito dal trattato di Bengasi, nei prossimi anni il nostro Paese costruirà un’autostrada lungo la linea costiera libica. Quasi duemila chilometri, dalla Tunisia alla Libia. Costo dell’operazione: 3,5 miliardi di euro. Il primo contratto da oltre 120 milioni di euro per il servizio di advisor se lo è aggiudicato lo scorso dicembre un raggruppamento di imprese costituito da Anas, Progetti Europa & Global e Italsocotec.
A Roma prevale la ragion di Stato, insomma. Con buona pace delle nostre imprese che aspettano da anni oltre 600 milioni di euro. Eppure una soluzione ci sarebbe. Davanti al protrarsi dell’insolvenza, l’Esecutivo potrebbe trattenere quel denaro dagli oltre 200 milioni di dollari che annualmente versa alla Libia in esecuzione del trattato di Bengasi. Una soluzione fin troppo semplice, che a Palazzo Chigi non vogliono nemmeno prendere in considerazione.