Lottomatica ripete che affinché il gioco rimanga un gioco, l’importante è non andare oltre. Lo spot deve però essere sfuggito all’amministratore delegato della società, Marco Sala, e al presidente Lorenzo Pelliccioli, che con la leva finanziaria hanno giocato troppo a lungo, magari sperando in una ripresa delle quotazioni. Il risultato è che a metà novembre sono stati costretti a correre ai ripari, varando un severo piano di rifinanziamento.
Troppo tardi per il mercato e per evitare che la credibilità del management andasse in fumo. Dai massimi del 2010 (vicino a 15 euro per azione) è stato bruciato quasi il 30% della capitalizzazione. E quando, poche ore fa, l’azienda ha annunciato i risultati 2010, con ricavi a 2,3 miliardi di euro e un ebitda di 812 milioni, la Borsa ha voltato le spalle al titolo, che ha chiuso la seduta in rosso (10,47 euro, -3,32%). Senza considerare che nel corso del 2010 il titolo Lottomatica ha sottoperformato il settore di un buon 50%, schiacciato da un indebitamento netto vicino a 3 miliardi di euro. Un esito davvero curioso per un operatore che fa la parte del leone in un’industria, quella dei giochi in Italia, che l’anno scorso ha raccolto quasi 61 miliardi. Com’è possibile?
L’uso aggressivo della leva finanziaria non è una novità per Pellicioli. Tuttavia imputare a lui un andazzo che fino a qualche anno fa era cosa comune, sarebbe eccessivo. Dal 2006, quando Lottomatica comprò per 4,7 miliardi di dollari Gtech, società americana leader nella tecnologie per i giochi, a oggi c’è stata una forte riduzione dei multipli di valutazione per tutte le aziende in tutti i settori. Molti ci hanno messo una pezza, ma il vertice di Lottomatica ha sperato a lungo che le cose si rimettessero a posto. Ancora la primavera scorsa, Sala raccontava agli analisti di non avere problemi di rifinanziamento. A maggio ha distribuito ai soci 125 milioni di dividendi. Neanche sette mesi dopo, le esigenze finanziarie hanno costretto Lottomatica a cedere per 100 milioni un pezzo di quella gallina delle uova d’oro che è il Gratta&Vinci a Unicredit, a una valutazione di favore.
La sensazione è che, dopo avere temporaggiato, il management si sia reso conto di essere piuttosto corto con la cassa, anche in vista della scadenza nel 2012 dei finanziamenti bancari esistenti. Nel piano rientrano poi un prestito obbligazionario da 500 milioni di euro e un altro prestito subordinato ibrido della durata di 60 anni fino a 300 milioni, e il rinnovo delle linee di credito (700 milioni di dollari a scadenza fissa più una linea revolving multi-valuta per complessivi 900 milioni di euro). Morale della favola, secondo una stima degli analisti di Intermonte, il gruppo subirà un aumento del costo medio del debito al 6,5%, mentre quelli di Kepler Capital Markets si aspettano un incremento di quasi 200 punti base, al 7,5 per cento.
È chiaro che la riduzione dei 3 miliardi di indebitamento netto viaggerà a ritmi più lenti del previsto, magari per arrivare a tre volte l’ebitda nel 2012 (contro 3,6 volte di 2010). Nel comunicato diffuso ieri l’azienda è un po’ più ottimista e promette un multiplo di 2,6-2,8 volte nel 2013, come dire che con gli attuali livelli di ebitda sarebbero necessari poco 2,6 anni per ripagare l’indebitamento esistente. L’impatto considerevole degli ammortamenti, frutto dei consistenti investimenti fatti nelle concessioni e soprattutto nel business tecnologico di GTech, completano la beffa: degli 812 milioni di ebitda dell’ultimo esercizio, alla voce utile netto non sopravviverà nulla. E l’a.d. Sala ha infatti preannunciato un risultato in pareggio. Con questi numeri, la quotazione di 36 euro, segnata nel giugno 2006, è più che lontana. È un miraggio.
Il paradosso è che un’azienda che continua a essere percepita come una “cash cow”, una mucca che produce cash, sarà costretta a distribuire dividendi di carta, cioè azioni proprie (2 ogni 100 possedute), pur di dare qualcosa agli azionisti. Ma forse questi ultimi dovrebbero prendere atto che con l’acquisizione di GTech, azienda software a forte impiego di capitali e con un grado di rischio industriale più elevato, Lottomatica è diventata altro dalla semplice e tranquilla concessionaria che era.