Alla domanda se Silvio Berlusconi sia la persona più serena per mettere mano alla riforma della giustizia, in questo momento dovremmo rispondere di no, forti del sospetto ch’egli stia ragionando per via personalistica, al limite del regolamento di conti. Ma se dovessimo chiederci se ne è invece la più indicata, dovremmo legittimamente rispondere di sì, visto che è a tutti gli effetti il presidente del Consiglio e qualcosa, sull’argomento, dovrà pur fare. Cercare una sintesi tra due posizioni così antitetiche è operazione d’altissima chirurgia politica e all’orizzonte non si stagliano luminari.
Berlusconi è notoriamente un uomo impaziente, un eccellente semplificatore delle nostre banalità, il migliore possibile, tanto che all’inizio della sua avventura politica molti dei meccanismi della nostra vita istituzionale gli parevano borboniche anticaglie da gettare in discarica. In realtà, a quel tempo – diciassette anni fa – non era l’arroganza a muovere la sua ben nota attitudine al “ghe pensi mi”, piuttosto l’abitudine a vivere in solitario il potere in azienda, fino a quel senso di onnipotenza che lo spingeva a consigliare le giacche ai conduttori dei suoi telegiornali.
Se possibile, diciassette anni dopo siamo tornati al punto di partenza. E la giornata di oggi, frenetica come molte altre, ne è evidente testimonianza. Berlusconi vuole scegliere la giacca anche al Capo dello Stato. Dopo aver resistito alle mille “provocazioni” del Colle (lui le chiama così), ha rotto d’un colpo quel patto di non aggressione faticosamente ricercato da Gianni Letta con gli uomini di Napolitano. «Il Colle blocca le nostre leggi, interviene puntigliosamente su tutto – si è lamentato il Cav. – con l’enorme staff che lo circonda».
Perché questa rottura, perché esplicitarla in maniera così eclatante? La risposta più accreditata non induce a pensieri positivi e porta direttamente al problema dei problemi: la giustizia. Silvio Berlusconi ha deciso che il tempo della mediazione è finito e come già in altri periodi della sua storia attacca frontalmente. Che la cosa gli accada a 74 anni suonati porta a pensare che questo possa essere l’ultimo giro.
Il cittadino-lettore, ma non di meno il non lettore, penserà ormai che all’agenda del premier corrispondano i veri problemi della nostra giustizia. Se è per questo, il messaggio è passato, e sul piano della comunicazione Berlusconi è decisamente vincente: separazione delle carriere, legge durissima sulle intercettazioni dove nessuno intercetterà più (né tanto meno pubblicherà), processo breve, anzi brevissimo (retroattivo per il Cav.), e riforma dell’Alta Corte, sono ormai i passaggi-chiave riconosciuti per arrivare al paradiso giudiziario.
Per dirla in modo netto: noi (cittadini) staremo bene quando starà bene lui (Berlusconi). Interrogate pure le persone per la strada, vi ripeteranno esattamente l’elenco appena citato. Ma giusto per uscire dall’omologazione che occupa giornali e televisioni, avete mai sentito pronunciare dal premier – una tra le tante – quella parolina magica che si chiama informatizzazione? Pensate sia meno importante della separazione delle carriere? Vi sbagliate.
Di fronte a un uomo che ha personalizzato in maniera quasi patologica il suo scontro con i giudici, che si può dire dell’atteggiamento della magistratura? Ogni volta, nei sondaggi, la categoria ne esce in maniera assai poco onorevole. Riflettano su questo lorsignori, ci dicano in maniera chiara se è pensabile di risolvere ogni questione all’interno di uno scontro senza prospettiva che li contrappone al Presidente del Consiglio.
Dedicheremo spazio, un giorno di questi, all’origine della politicizzazione di una categoria che, per definizione e nella sua origine, avrebbe dovuto essere terza, almeno per la parte giudicante. Perché un bel giorno, i giudici vollero marchiarsi a vita dividendosi in correnti, e queste correnti prendere poi una colorazione politica (Magistratura democratica, ecc.), non è forse in quella folle sindacalizzazione che si annida il peccato originale?