BERLINO. «Un fantasma si aggira per l’Europa». Titolava così, qualche anno fa, il prestigioso settimanale tedesco Die Zeit, citando il manifesto di Marx ed Engels e osservando con preoccupazione la popolarità dei neonati movimenti politici d’ispirazione populista: Austria, Svizzera, Olanda, Italia e Francia, insieme a Ungheria e Polonia. Quello che il periodico allora non poteva immaginare era che alla fine dell’ottobre 2010 René Stadtkewitz, uno sconosciuto politico della Cdu, avrebbe fondato un partito che vuole «ascoltare i bisogni e le richieste della gente». Die Freiheit, “la libertà”, è il nome di questa nuova formazione politica che conta al momento 6000 simpatizzanti, cittadini e politici, provenienti soprattutto da un centro deluso.
Die Freiheit sta bene attento a distanziarsi dai movimenti neonazisti in un Paese dove le sfilate di teste rasate e stivali militari, soprattutto nelle remote e disoccupate province dell’ex Germania dell’Est, non hanno mai smesso di suscitare forti reazioni di protesta. Il nuovo partito vuole offrire un’alternativa a tutti coloro che, sia a destra che a sinistra, condividono un sentimento comune e diffuso nell’era della crisi economica, della delocalizzazione e dell’immigrazione di massa: la paura della perdita dello status quo con una conseguente crescita dell’individualismo. La storia insegna che quando le tensioni sociali si acuiscono serve un capro espiatorio su cui convogliare le frustrazioni. E in Germania, così come nel resto dell’Europa del Ventunesimo secolo, è l’Islam, anche quello più moderato, a ricoprire questo ruolo.
René Stadtkewitz, un quarantaseienne originario dell’ex Germania dell’Est, si propone di opporsi all’islamizzazione di un Paese che conta tre milioni di cittadini turchi musulmani. Così come il suo modello olandese Geert Wilders, il leader xenofobo a capo del terzo partito nei Paesi Bassi, ha già dovuto rispondere in tribunale delle accuse di incitazione all’odio razziale per aver paragonato il Corano al Mein Kampf di Adolf Hitler e aver definito l’islam “fascista”. Stadtkewitz si distanzia dalle “uscite estreme” del suo mentore ma non nasconde lo scetticismo nei confronti delle organizzazioni islamiche, le simpatie per Israele mentre parla di «difesa delle radici».
Si dice che questo nuovo leader politico stia cavalcando l’onda di rinascita dell’identità nazionale, accolta con favore durante i mondiali di calcio del 2006, come segno del definitivo superamento del senso di colpa nei confronti del nazionalsocialismo. Ma la Germania oggi non sta riscoprendo un vero sentimento nazionalista: si tratta di una risposta istintiva alla paura della perdita del benessere, alla fine del sogno dell’ascesa sociale per tutti, alla svalutazione dei titoli di studio e al precariato lavorativo. In una definizione: all’insicurezza sociale. Per i cittadini tedeschi, tuttora alla guida della locomotiva economica europea e pochi mesi fa i Giovanna d’Arco dell’euro, la correttezza politica del multiculturalismo non rappresenta più una risposta adeguata. Mentre si allarga la forbice sociale l’assistenzialismo sociale, costantemente ridotto negli ultimi anni, non basta più. Così come le posizioni classiche della politica tedesca.
I socialdemocratici della Spd non sono in grado di trovare cavalli di battaglia alternativi allo stato sociale a tutti i costi, nonostante le elezioni del 2010 li abbia relegati all’opposizione in favore del partito liberale di Guido Westerwelle. Quest’ultimo, in veste di ministro degli Esteri, non trova di meglio che rispondere ai dissensi con l’euroscetticismo in favore del nazionalismo economico. Anche la Merkel corre ai ripari in quello che sarà un anno decisivo per la Cdu, con tre popolosi Länder alle elezioni che potrebbero ulteriormente minare l’attuale minoranza alla camera bassa. Proprio lo scorso ottobre la cancelliera ha dichiarato fallito il multiculturalismo in un Paese che conta il 9% di cittadini stranieri. La Merkel ricalca l’atteggiamento da sempre più conservativo e cattolico dei democristiani bavaresi. Con lei, la Cdu al governo si sposta leggermente a destra mostrando attenzione per tendenze sociali polarizzanti che non possono più essere ignorate. Nonostante il governo tedesco continui a puntare su crescita, democrazia, ricerca, cultura e libera circolazione delle idee, il Paese sta vivendo l’impasse europea alla quale probabilmente non poteva sottrarsi. Resta da vedere che cosa ne sarà di un neonato partito anti islamico che ha come primo scopo quello di candidarsi alle elezioni regionali nel settembre 2011 a Berlino.