Col terremoto in Giappone l’iPad costerà di meno

Col terremoto in Giappone l’iPad costerà di meno

L’iPad potrebbe essere meno costoso dopo la catastrofe nipponica. La continua corsa al rialzo del prezzo delle “terre rare”, i 17 elementi dai nomi improbabili come lantanio, promezio e neodimio, ma fondamentali nell’alta tecnologia, dai circuiti integrati del Blackberry ai motori elettrici, è vicina a una battuta d’arresto. A dirlo sono gli esperti del settore riuniti ieri e oggi a Pittsburgh nell’ambito dell’International Rare Earth Summit 2011. Da solo, infatti, il Giappone vale la metà del consumo mondiale di terre rare, basti pensare ai marchi nipponici noti in tutto il mondo come Honda, Toyota, o Toshiba. Per questo, come spiega all’agenzia Reuters un esperto nipponico: «Uno stop di un paio di settimane dimezzerebbe le dimensioni del mercato. Ciò potrebbe avere un notevole impatto sul fronte della domanda». Sebbene sia ancora presto per trarre conclusioni, dicono da Pittsburgh, uno scenario di forte discesa dei prezzi nei prossimi 60 giorni è molto probabile.

La questione del prezzo delle terre rare era salita agli onori delle cronache internazionali quando le autorità di Pechino avevano optato per una nuova stretta alle esportazioni. La Cina, praticamente monopolista –  avendo circa il 95% delle riserve mondiali – dopo due decenni di politiche accomodanti nei confronti delle esportazioni, per imporsi su Brasile e Sudafrica, i principali concorrenti, aveva deciso di diminuire il volume delle esportazioni. Il tutto, come spiega un report della banca tedesca Commertzbank, per consentire all’industria locale di consolidare le aree di estrazione già esistenti, piuttosto frammentate sul territorio cinese, e di consolidare le riserve per soddisfare il proprio fabbisogno domestico. 

Il Dragone, tuttavia, sarebbe un gigante dai piedi d’argilla. Secondo gli operatori del settore riuniti in questi giorni a Pittsburgh, i giacimenti cinesi, a differenza della produzione, sarebbero pari soltanto a un terzo del totale mondiale. Tanto che la stessa Cina potrebbe entrare nel novero dei paesi importatori entro il 2015. I big del comparto, come Molycorp, Lynas, Avalon Rare Metals e Great Western Mineral Group, stanno infatti investendo decine di migliaia di euro nella ricerca di miniere negli Usa e in Sudafrica, dove i costi estrattivi sono minori.

Se dal punto di vista finanziario il disastro giapponese potrebbe dunque calmierare il rally del comparto,sul lato geopolitico potrebbe rafforzare ulteriormente la posizione cinese. Negli ultimi mesi del 2010, infatti, il Giappone aveva tentato di smarcarsi dalla dipendenza da Pechino, siglando un accordo con la Mongolia finalizzato alla fornitura di tecnologia in cambio del diritto di prelazione sulle esportazioni. Un tentativo di rottura a cui è seguita, a fine febbraio scorso, la delibera, da parte del ministero dell’Economia, di un programma di incentivi dal valore di 33,1 miliardi di euro appannaggio di 160 progetti stilati da 110 società del settore. Obiettivo dichiarato: ridurre di un terzo la propria dipendenza dalla Cina. Una meta che, oggi, appare sempre più lontana all’orizzonte. 

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