Il divario di crescita tra il nostro Paese e il resto dell’Europa è dovuto a molti fattori, dalla mancanza di flessibilità del mercato del lavoro alla scarsa concorrenza in vari settori, a partire da quello finanziario. Ma certamente una delle caratteristiche del sistema economico che più ci penalizza è la mancanza di produttività, dove per produttività non si intende (solo) la produttività del lavoro ma piuttosto (soprattutto) quella misura statistica di produttività chiamata produttività totale dei fattori (total factor productivity).
La produttività totale dei fattori dipende indirettamente da quantità e qualità di infrastrutture e istituzioni quali il sistema scolastico, il sistema legale e quello giudiziario, la sanità,…., insomma i vari fattori dolenti della competitività italiana, oggetto delle grandi riforme di cui si parla da decenni, o per promettere che si faranno o per assicurare che sono gia’ state fatte. Si è parlato molto di sistema scolastico l’anno passato, anche perché i dati dei test Pisa, Pirls, e Timss, hanno impietosamente mostrato l’arretratezza del sistema scolastico italiano, specie per quanto riguarda la scuola media secondaria nelle regioni del Sud del paese. Si è parlato meno di giustizia. O meglio, se ne è parlato tantissimo ma male: mescolando e confondendo l’inefficienza del sistema giudiziario con le disavventure legali del Presidente del Consiglio. Per questa ragione, ad esempio, si è parlato tanto di giustizia penale e poco, pochissimo, di giustizia civile. Dal punto di vista del sistema economico e degli effetti sulla produttività totale dei fattori è invece soprattutto la giustizia civile ad assumere rilevanza fondamentale. Fra le pieghe di una giustizia civile lenta ed inefficiente si annidano infatti comportamenti scorretti o fraudolenti delle imprese e una generale incertezza riguardante l’ambiente economico di riferimento che non incentiva gli investimenti, specie quelli proveniente dall’estero.
Aspettando ancora una volta una riforma epocale della giustizia civile, è bene quindi ricordare quale sia la condizione in Italia, relativamente agli altri Paesi europei e ai paesi Ocse (una analisi dettagliata dei dati è disponibile in un utilissimo studio della Banca d’Italia, ad opera di Francesco Bripi, Amanda Carmignani, e Raffaela Giordano: Occasional Papers numero 84, Gennaio 2011). Per quanto l’efficienza del sistema giudiziario sia un concetto abbastanza elusivo, i vari indicatori statistici tipicamente utilizzati per misurarla hanno a che fare con la lunghezza media dei procedimenti giudiziari di vario tipo. A questo proposito, dati comparabili tra Paesi sono raccolti dalla Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (Cepej, 2008). Ancora una volta l’immagine è impietosa. Una controversia commerciale in Italia richiede 1.210 giorni per essere risolta, mentre nei paesi dell’Unione Europea sono sufficienti in media 549 giorni (510 nei paesi Ocse). Più in generale, in Italia un contenzioso civile impiega tre volte tanto che in Germania ad essere risolto in primo grado (480 giorni contro 157; 250 in Francia e Spagna).
Non sorprende poi che la giustizia civile in Italia sia caratterizzata da divari territoriali enormi, secondo l’asse Nord-Sud. I 480 giorni richiesti per la risoluzione di un contenzioso in primo grado sono il risultato di una media che comprende, ad esempio, 590 giorni del Mezzogiorno e 306 giorni del Nord Ovest. Divari simili si hanno anche nei tempi medi di risoluzione disaggregati per tipologia di procedimento: cognizione ordinaria; lavoro, previdenza e assistenza, procedimenti immobiliari; procedimenti mobiliari. Sorprende invece (forse) che anche le regioni del Nord in cui la giustizia civile è più efficiente sono lontane dai livelli dei Paesi europei con cui l’Italia compete più direttamente dal punto di vista economico: i 306 giorni del Nord Ovest sono pur sempre il doppio dei 157 della Germania.
La giustizia civile in Italia è quindi in una situazione penosa. E, giusto per evitare il riflesso condizionato tanto comune quanto dannoso, è bene notare che la sua inefficienza non è dovuta a scarse risorse. L’Italia spende per la giustizia 45 euro per abitante, contro ad esempio i 38 della Francia (e se è vero che il numero dei provvedimenti è maggiore in Italia che nel resto dell’Europa, non è corretto confrontare la spesa per provvedimento, perché la litigiosità relativa è un effetto dell’inefficienza tanto quanto ne è una delle cause). Una analisi precisa della spesa per area geografica è operazione complessa, sulla base dei dati esistenti, ma è probabile che l’inefficienza vada di pari passo con la spesa: più alta la spesa pro—capite per la giustizia civile, maggiore la sua inefficienza relativa.
Non c’è dubbio allora che una riforma vera del sistema giudiziario debba passare attraverso una ristrutturazione che agisca direttamente sulla produttivitàdella magistratura, oltre che sulla redistribuzione efficiente delle risorse: dagli quindi alla casta dei magistrati, che spesso difende l’indifendibile. Ma prima di studiare una riforma punitiva della magistratura, tentazione comune nel Paese, purtroppo, è bene guardare anche alla struttura corporativa dell’avvocatura, che contribuisce notevolmente all’inefficienza della giustizia civile, proteggendo rendite e potere di mercato dei propri membri anche attraverso parcelle che producono incentivi a tirare i procedimenti per le lunghe.