Asta in dirittura d’arrivo per la rete di fibra ottica di Milano, la città più cablata al mondo. Secondo il Sole 24 Ore, il fondo inglese Stirling Square, che detiene la maggioranza delle quote di Metroweb, società proprietaria dei cavi nel sottosuolo meneghino, punterebbe su offerte presentate da singoli pretendenti, con la possibilità di fare alleanze soltanto dopo l’aggiudicazione della gara. Una circostanza che rimescola le carte tra gli attuali candidati: il fondo F2i di Vito Gamberale appoggiato da Intesa Sanpaolo, Vodafone, Wind, i francesi Axa e Antin e il fondo di private equity Clessidra. Alcuni parlano anche di un interessamento di Unicredit e Generali, che però ha smentito.
Certo è che si tratta di un affare d’oro, per una partecipazione che il presidente di Edison, Giuliano Zuccoli, da tempo non considera strategica, ma che l’ultimo anno ha generato un ebitda di 42 milioni di euro su un fatturato di 52. Numeri da sogno.
La storia comincia cinque anni fa. Zuccoli cominciò a manifestare un’insofferenza crescente verso la partecipata Metroweb, la società proprietaria della rete di fibra ottica “spenta” di Milano, o come si dice con un anglismo “dark fibre optics network”. «Non è strategica», «abbiamo ricevuto parecchie offerte», «Speriamo, prima di aprile, di concludere la vendita», «Registra debiti per circa 210 milioni, un elemento di cui tener conto nell’eventuale realizzo della vendita». La politica non era entusiasta, ma alla fine Letizia Moratti diede il suo benestare: «Queste tecnologie sono superate e non più strategiche».
Ricevuto il benestare del sindaco, Zuccoli va avanti. Dopo una gara gestita da Ubm (gruppo Unicredit) e da Cfa, si arriva a un accordo con il fondo Stirling Square Capital Partners (Sscp), firmato sotto la canicola agostana del 2006. Il contratto prevede che il 100% di Metroweb sia acquisito da Burano Spa, società-veicolo di diritto italiano controllata indirettamente dal fondo Stirling con una quota del 76,47% e da Aem con il 23,53%, a fronte di un investimento pari a 8 milioni. Al fondo Stirling conoscevano bene la fibra milanese: i dossier italiani, infatti, sono seguiti da Stefano Bonfiglio e Gregorio Napoleone, due manager che vengono proprio da e.Biscom/Fastweb, la società (inizialmente partecipata dalla stessa Aem) che quella fibra aveva posato.
Aem sottoscrive inoltre un prestito obbligazionario convertibile emesso da Metroweb per un ammontare di 24 milioni, che, in caso di conversione (possibile fino al 2017), porterà l’ex municipalizzata milanese (ora A2a) a detenere una quota complessiva compresa fra il 29,75% e il 39,57 per cento. E incassare così 100 milioni di euro. Cifra che fa molto comodo ad A2a, alla luce dei conti 2010 usciti oggi, i quali evidenziano un indebitamento pari a 3,893 miliardi di euro in contrazione di 751 milioni rispetto alla fine del 2009 ma pur sempre elevato. Dalla cessione del 5,16% dell’operatore svizzero Alpiq la società ha ricavato una plusvalenza di 210 milioni, parzialmente utilizzata per pagare i 298 milioni di dividendi.
Torniamo al 2006. La valutazione di Metroweb derivava da un valore d’impresa (Ev) di 232 milioni di euro, incluso un indebitamento di circa 200 milioni. Aem conservava un diritto di gradimento in caso di cessione della quota di controllo di Metroweb detenuta dal fondo britannico. Mediobanca rilascia inoltre una valutazione indipendente sulla congruità del valore di cessione.
Alla luce dei dati di bilancio 2006 (il closing dell’operazione è avvenuto 19 ottobre 2006) la società fu valutata a un multiplo Ev/Mol di 7,8 volte. Lo schema dell’operazione, tuttavia, allora creò più di una perplessità: fra obbligazioni convertibili e partecipazione nella Burano (poi fusa con Metroweb) il venditore sborsò 32 milioni, mentre il compratore Stirling investì in equity 26 milioni di euro.
I dubbi sulla “svendita” provocarono una reazione durissima di Aem, che il 5 ottobre 2006 rilasciò una diffida a «divulgare informazioni tendenziose», rivendicando «massima trasparenza e correttezza». Il dato sicuro è che Metroweb (e il suo indebitamento) uscirono dal perimetro di Aem prima che essa si fondesse con Asm, dando vita ad A2A. Più di un analista, a suo tempo, evidenziò che probabilmente proprio in quella fusione stava il vero obiettivo della cessione, a prescindere da qualunque reale valutazione di strategicità o redditività in prospettiva. Le polemiche si sopirono per un po’, ma si riaccesero alcuni mesi dopo, nel maggio 2007, quando Telecom decise di affittare l’uso della rete Metroweb per 15 anni contro il pagamento di un canone complessivo di 50 milioni, ben superiore alla cifra sborsata da Stirling. E oggi che si parla di una cessione per un valore di impresa compreso fra 400 e 500 milioni, questi dubbi ritornano. Sulla base dello stesso parametro (Ev/mol), infatti, la valutazione implica un multiplo fra 10 e 12: difficile capire da che cosa discendano questi giudizi. Dal 2006 a oggi, infatti, c’è stata la peggiore crisi economica dal dopoguerra a oggi, e i multipli di valutazione applicati dal mercato si sono semmai ridotti. La crescita del business registrata negli ultimi quattro anno non ha in sé nulla di straordinario ma era, per così dire, “scritta” nel Dna di Metroweb. L’indebitamento finanziario netto di Metroweb è più o meno sugli stessi livelli (198 milioni nel 2005 e nel 2006, 181 milioni a fine 2009). Il margine operativo lordo è aumentato a un tasso annuo di poco inferiore al 10 per cento. I dipendenti era 28, oggi sono 34.
A conti fatti, insomma, non si capisce in che cosa A2A, e indirettamente l’azionista di riferimento Comune di Milano, e quindi i cittadini milanesi, abbiano avuto da guadagnare dalla cessione di Metroweb. Né si può dire che la politica di tutela dell’italianità di Edison, per la quale era nata A2A, abbia portato qualche risultato, visto che il timone della società elettrica è sempre più saldamente in mano al socio francese Edf. Chi può dire di averci indubbiamente guadagnato è invece il fondo Stirling. Se l’operazione di vendita andrà in porto per una valutazione aziendale di 500 milioni, tolto il debito di circa 200, significa che rimangono 300 milioni, di cui il 76% andranno agli investitori britannici. Ma anche una sensibilmente valutazione più bassa darebbe ottimi risultati in termini di redditività, a fronte di un investimento di 26 milioni, che oggi sta per essere rivenduto letteralmente a peso d’oro. Metroweb continua a fare gola a tutti, tranne che al Comune di Milano.