Che qualche accidente glielo mandino, è più che plausibile. Che quel malocchio addirittura funzioni, verrebbe da crederlo, dopo il quinto crollo del controsoffitto in sette mesi nella nuovissima sede dell’Agenzia delle Entrate. L’ultimo cedimento, pochi giorni fa (una botola di servizio), ha ferito l’impiegato Franco Zanatta, uno dei circa ottanta dipendenti che lavorano al primo piano.
Treviso sta traslocando. C’è una seconda città che svuota quella storica. A lungo chiamata Treviso 2, la nuova cittadina di grattacieli e palazzine rosso mattone è ora indicata come Area Appiani, dal nome della fabbrica di ceramica trevigiana (piastrelle e laterizi) che un tempo sorgeva qui. L’Area Appiani centralizza tutti i servizi. E provoca inediti vicinati tra tipi umani da sempre abituati a guardarsi piuttosto in cagnesco. Così, uno in fronte all’altro e fianco a fianco, ci sono Agenzia delle Entrate, Guardia di Finanza e Confartigianato (la principale tra le sigle che riuniscono gli operosi piccoli imprenditori della Marca: circa 13mila partite iva; mentre quattromila stanno con la Cna e pochi meno con CasArtigiani. Insomma tutta quella “razza Piave” considerata per tradizione in fuga perpetua dal fisco).
«Ma no», inizia tra mille prudenze il presidente di Confartigianato Mario Pozza, «tra noi e l’Agenzia delle Entrate c’è un buon rapporto. Di piena collaborazione. E con le Fiamme Gialle abbiamo persino firmato dei protocolli su lavoro nero e concorrenza cinese. Su, non vediamoli come nemici! Pagare tutti, significa pagare tutti un po’ meno».
Definiamola cautela istituzionale. Ma basterà chiamare a raccolta le esperienze di qualche iscritto e sciogliere un po’ la formalità con la chiacchiera e i toni si faranno ben diversi. E lo stesso Pozza, neanche un’ora dopo, lasciato da parte il fairplay degli inizi, troverà una sintesi piuttosto efficace: «L’Agenzia delle Entrate si comporta con noi artigiani come i Comuni con gli autovelox. Ci usano per far cassa».
Sui sei distretti del trevigiano (che hanno perso – confrontando il 2010 con l’anno pre-crisi, il 2008 – 700 milioni di euro di fatturato aggregato) ha retto alla crisi – e bene – solo quello del prosecco. Le cose non vanno bene, insomma, e l’attenzione del fisco scalda gli animi più del solito. «Se stressi a questo modo la gente che sta lavorando», sbotta Daniele Citron, di San Polo di Piave, «chissà che qualcuno, un giorno, non perda la testa». Lui, 55 anni, a capo di un’azienda di impiantistica civile e industriale con 25 dipendenti, aperta nel ’75, è diventato particolarmente insofferente dopo aver perso un’importante gara d’appalto per una irregolarità contributiva di 2 euro. «L’errore non era stato nemmeno nostro, ma dell’Agenzia delle Entrate. Erano due euro e spicci, quasi 3. Poi, visto che erano passati un po’ di anni, ci hanno applicato le ammende e mi è arrivata una cartella di 21 o 22 euro. L’ho pagata subito, ma intanto – era tra luglio e agosto, periodo in cui bisogna stare all’erta perché escono molte gare pubbliche – volevo partecipare a un appalto. Vado a richiedere il Durc, il documento che attesta la regolarità contributiva e che è necessario, e non me lo rilasciano perché la posizione non era ancora stata sanata (ci sono dei tempi tecnici) e risultavo esposto col fisco. Per una pendenza di 2 euro ho perso la possibilità di partecipare a una gara da diverse migliaia. Che rabbia in tempi di crisi!».
Ma Citron, come tanti altri artigiani di zona, ha subito anche un’altra “multa” di quelle difficili da digerire. «Dopo un po’ di anni sono arrivati a chiederci indietro i due settimi delle detrazioni su costi di manutenzione dei veicoli, usura gomme, riparazioni, olio e benzina, perché – sostengono – due giorni su sette non vengono utilizzati, visto che sabato e domenica non lavoriamo. Non è un chiaro segno che lo Stato ha solo bisogno di soldi? Lo chiamate recupero dell’evasione questo?». «E poi – conclude – al di là di certi titoli che gli evasori totali a cui trovano tre Ferrari in garage danno a voi giornalisti, il fenomeno è molto ridimensionato rispetto a qualche anno fa, perché è sempre più difficile con tutti i nuovi metodi e l’informatica… E peggio sarà con l’introduzione dello spesometro. Insomma, a volte non vale la pena. Per scovare un marchingegno utile, una strategia che funzioni, potrebbero essere più alti i costi dei benefici». Una discreta sincerità, non diversa da quella data da Pozza in risposta alla domanda se metterebbe la mano sul fuoco sul fatto che davvero tutti gli artigiani suoi associati paghino fino all’ultimo centesimo di tasse: «Di Muzio Scevola ce n’è già stato uno».
Trovare altri disposti a mettere nome e cognome su certe dichiarazioni non è facile (la battuta più ripetuta: «Sì, come no? Parlo, e poi lunedì ho tre finanzieri in ditta a controllarmi anche l’ombra»). I più comunque, sicuri dell’anonimato, si lamentano degli studi di settore («pensati in tempo di vacche grasse e da Tremonti solo parzialmente rielaborati»). Altri obiettano che «o lo Stato crede negli studi di settore o no. Se uno è congruo perché vengono a fare, in più, le verifiche a campione?». E ancora: «Fanno leggi così complicate, tipo quella nuova sulla spazzatura, il Sistri – che è stata prorogata perché inapplicabile – che ci costringe a seguire corsi e poi farà guadagnare lo Stato sui nostri errori. Faranno cassa sulle continue sanzioni. È troppo complicata. Siamo muratori non ragionieri». Oppure: «È terribile quando prendono di mira un settore. Vanno a tappeto. C’è stato il momento di noi carrozzieri. Quando partono così non c’è scampo. Arrivano e non ti mollano finché non trovano qualcosa».
Lo conferma anche Mario Pozza: «Vengono. Stanno due o tre giorni in azienda e trovano la piccola infrazione, da due o tremila euro. Sanno che il piccolo imprenditore non fa ricorso, non si imbarca in cause, non ci mette l’avvocato. Che paga pur di chiudere il prima possibile la questione. Se becchi tremila euro a botta in 100 aziende, sei a posto. La grande impresa ha lo studio legale, il grande commercialista, la fiduciaria in Liechtenstein. E quando li prende lo Stato quei soldi? Meglio lasciar perdere. Meglio pochi maledetti e subito da migliaia di piccoli imprenditori che non cercare il colpo grosso con la grande azienda. Con noi fai cassa subito, metti nel carrello; è come andare al supermercato. Siamo becchi e bastonati, insomma», e lo dice in dialetto, mangiandosi la ti. «Visco aveva iniziato a rifarsi sui più piccoli, ma anche questi non hanno mica abbassato la guardia».
Anche per Giuliano Rosolen, direttore provinciale di Cna Treviso, «il fisco sta dimostrando una straordinaria insensibilità verso l’universo delle piccole e medie imprese». Lui ce l’ha soprattutto con «la mastodontica, esosa burocrazia, fatta di riti e pretese, capace solo a frenarci. Siamo strozzati. I costi per adempiere ai balzelli derivanti da leggi e regolamenti sono una tassazione indiretta in più e sono tutte misure in larga parte inutili a contrastare davvero l’evasione fiscale, che finiscono per penalizzare solo gli onesti». Salvatore D’Aliberti, segretario di CasArtigiani nota invece un timido miglioramento: «È vero che fare le multe a noi piccoli è più semplice, perché in un’ora di controllo trovi qualcosa e magari, proponendo un po’ di sconto, incassi subito, ma non ci sono più i casi limite di qualche anno fa, quando la Finanza entrava dal barbiere che aveva un vecchio negozio anni ’60 con quattro poltrone e diceva: “Ok, tu devi pagare per quattro”. Adesso semmai il problema è che navighiamo a vista. Attendiamo ancora, usciranno il 31 marzo, i parametri per gli studi di settore dell’anno precedente». E non si risparmia una frecciatina per Confartigianato: «Sono sempre così barricadieri però le cene con il capo dell’Agenzia delle entrate e gli ufficiali della Guardia di Finanza le fanno loro. Non noi».
Il 24 febbraio il colonnello Claudio Pascucci ha presentato il rapporto 2010 della Guardia di Finanza di Treviso. Un nuovo boom dell’evasione fiscale accertata nella Marca, l’area attorno alla città veneta: +42% rispetto al 2009. Nello specifico, le persone completamente sconosciute al fisco erano 101 e 136 sono state denunciate per frode fiscale. Gli imponibili non tassati scoperti ammontano a 124 milioni di euro. «Nella marca non c’è ancora cultura della legalità in termini di fisco», ha concluso. Parole che non sono piaciute a Confartigianato: «Il fatto è che qui gli uffici preposti funzionano, eccome», dice il presidente. «I controlli sono incessanti. Evidentemente in altre parti d’Italia lo sono meno. Per fare impresa bisogna essere pazzi e avere buona salute. Il fegato te lo mangiano subito. Lo Stato non è un alleato di noi artigiani. E neanche la politica. Siamo bravi imprenditori fino alla sera prima delle elezioni, la colonna vertebrale del Paese… E il giorno dopo diventiamo il problema principale, per via della polverizzazione, dell’incapacità di fare sistema… Questo governo non è lontano da questa gente. Avrà votato Lega il 60% degli artigiani di Treviso. Ma se continuano anche loro a darci mazzate, prima o poi gli artigiani si svegliano e, o non votano più, o finisce come in Libia. La Jugoslavia è a cento chilometri da qui, ricordatevelo. E l’insofferenza è grande».
A Confartigianato non è piaciuta neppure la scelta del governatore veneto Zaia di azzerare, nel bilancio di previsione 2011, gli aiuti alle imprese e di dare 35 milioni a Veneto Sviluppo. Vede come il fumo negli occhi l’ipotesi (in realtà obbligatoria per legge) di reintrodurre l’addizionale Irpef al tetto massimo (0,9%) per sanare il buco di bilancio che si è aperto nella Sanità Regionale. Ed è molto scettica sul federalismo comunale che secondo un loro studio «potrebbe far alzare le tasse per i piccoli impreditori».
Insomma, che a «mettere le mani in tasca» sia Roma, o Venezia, o il piccolo comune del trevigiano, che sia la sinistra di Visco «il vampiro» o il centrodestra filopadano, poco cambia per questa gente. Se dipende davvero dagli accidenti e non da qualche “risparmio” di troppo nella costruzione, i controsoffitti dell’Agenzia delle Entrate sono destinati ancora a crollare.