Il futuro di Telecom si decide al telefono. Le nomine del nuovo amministratore delegato di Telecom Italia, Marco Patuano, e lo spostamento di quello attuale Franco Bernabé a presidente esecutivo, sono ormai cosa fatta: dopo una fitta serie di contatti telefonici, e comunque non formali, tra lo stesso Franco Bernabé, Mediobanca e gli altri soci forti. Il vecchio capitalismo familiare decideva e stroncava le carriere al chiuso di un salotto o nelle riunioni dei patti di sindacato. Comunque al di fuori dei consigli di amministrazione. Quello nuovo continua a non amare le sedi ufficiali: non i cda, ancora meno le assemblee degli azionisti. Il futuro di una compagnia che continua a non dare soddisfazione agli investitori si decide altrove. Lunedì, al prossimo consiglio di amministrazione di Telco (la società che detiene il 22,5% di Telecom e la controlla) si arriva a giochi già fatti. La maggioranza dei soci di Telecom, quel 77,5% che non sta in Telco, andrà all’assemblea del 12 aprile per ratificare decisioni discusse altrove. Più che una riorganizzazione, peraltro, è stato deciso un “cocktail shake” con gli stessi ingredienti di prima meno uno, il presidente uscente Gabriele Galateri, al quale non è stato tuttavia negato un posto in cda.
Venerdì sera a Bernabé è stato spedito lo schema di governance e questa mattina ha accettato e comunicato telefonicamente il suo sì, nel pomeriggio le agenzie hanno battuto la notizia. Sarà presidente esecutivo con deleghe alla finanza, alle operazioni straordinarie e ai rapporti istituzionali (autorità amministrative e governo), ma il business operativo passerà a Patuano e a Luca Luciani. Il primo, 47 anni anni, da responsabile dell’unità operativa “mercato domestico” diventa amministratore delegato, con deleghe sul personale, il commerciale, il marketing e tutta l’operatività in Italia. Luciani, 44 anni, attuale presidente di Tim Brasile, viene promosso a direttore generale e incassa anche la delega per tutta l’America latina (Argentina inclusa). Il tutto sarà ratificato lunedì mattina nella riunione del cda di Telco, e solo a cose fatte verrà “promulgata” dal nuovo consiglio di amministrazione della compagnia, eletto dall’assemblea del 12 aprile. La vera novità è la netta separazione delle responsabilità a livello geografico fra mercato italiano e America Latina, cosa che in Telecom non accadeva da quasi vent’anni. Basterà questo a risollevare le sorti di una compagnia telefonica che da anni continua a mancare e a ritoccare al ribasso gli obiettivi di business dichiarati al mercato?
A quattro anni dalla nascita di Telco, non è semplice dire chi possa festeggiare e per quali ragioni. Non certo gli azionisti di Telecom, visto il calo delle quotazioni. Né i dipendenti, su cui si sono abbattuti 9mila tagli; e nemmeno l’Italia, bloccata in un’interminabile quanto infruttuosa querelle sugli investimenti in reti di nuova generazione. Quanto ai protagonisti dell’operazione realizzata tramite l’acquisto di Olimpia dal gruppo Pirelli e la successiva incorporazione in Telco, fra mezzi liquidi e conferimenti di titoli Telecom, hanno investito 5.144 milioni di euro. Ad aprile 2010, Telco dichiarava un patrimonio netto contabile di 3.335 milioni, avendo in carico però i titoli Telecom a 2,2 euro. Allineando il valore della partecipazione alle quotazioni correnti (1,13 euro per azione), si ha un patrimonio netto di 121 milioni. In breve, dal 28 aprile 2007 oggi, i quattro cavalieri di sistema Mediobanca, Intesa, Generali e Telefonica hanno perso valore per 5 miliardi di euro. Li hanno fatto perdere, cioè, ai propri azionisti. Doveva essere un’operazione di sistema, di quelle che «sono nell’interesse della società e soddisfano anche l’interesse generale».