Dopo il terremoto e la crisi nucleare in Giappone è la paura delle radiazioni sprigionate dalla centrale di Fukushima a tenere il mondo con il fiato sospeso. Giuseppe Sgorbati, fisico nucleare dell’Agenzia lombarda per la protezione dell’ambiente (Arpa) e responsabile dell’emergenza Chernobyl nel 1986 per la Regione Lombardia risponde alle domande de Linkiesta.
Dagli ultimi rilevamenti la radioattività del reattore n. 2 di Fukushima è di 1.000 millisievert/ora, pari a quattro volte il livello massimo di esposizione annuale cui può essere esposto un lavoratore in condizioni d’emergenza. Cosa sta succedendo a Fukushima?
«Il problema che abbiamo ancora il combustibile che continua a sprigionare calore, nel “vessel”, la parte più a rischio della centrale. Le informazioni sono poco chiare perchè anche i tecnici non si possono avvicinare all’impianto per le intense radiazioni».
Il raffreddamento del combustibile ha precedenza sui problemi della fuoriuscita di liquido?
«Assolutamente sì. Ciò che esce è il liquido usato per raffreddare le parti più critiche della centrale, perchè in questo momento è vitale abbassare la temperatura per impedire ulteriore degrado e fuoruscita di materiale radioattivo».
Quindi siamo di fronte alla parziale fusione del nocciolo?
«A partire dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica dicono tutti la stessa cosa: almeno un parziale fusione è avvenuta. Ora dipende capire se è in corso anche il meltdown cioè la fusione del contenitore del nocciolo, il vessel appunto, il penultimo livello di protezione. Poi rispetto all’ambiente esterno, rimane solo il “contenitore primario”, l’edificio di calcestruzzo del reattore».
Contaminazione dell’aria, dell’acqua, del suolo: da dove arrivano i pericoli maggiori per i giapponesi?
«Dalla contaminazione dell’aria non ci si può difendere se non allontanandosi verso zone in cui non arriva aria contaminata. Per gli altri ci si può difendere se si hanno fonti di approvvigionamento alternativo. Faccio fatica a stabilire qual è il pericolo maggiore perchè non so quanto durerà questo fenomeno..»
Rimane il fatto che in Giappone si trovano di fronte problemi che non sanno come gestire…
«C’è un grosso impatto psicologico ma è ancora presto per fare delle valutazioni. Sicuramente lo sgombero dell’area di 30 Km intorno alla centrale non poteva essere evitato».
Plutonio, uranio, iodio 131 fanno paura all’opinione pubblica anche in Italia, nonostante la bassa concentrazione?
«Nonostante concentrazioni assolutamente trascurabili e conseguentemente del tutto gestibili. La vicenda della scuola di Saronno dove hanno vietato ai bambini di uscire all’aperto (riportato oggi dal Corriere della Sera) è al limite del procurato allarme perchè non c’è nessun pericolo».
Ma a distanza di 18 giorni dal maremoto e dalla crisi negli impianti nucleari la nube tossica è arrivata anche in Italia?
«Non la chiamerei nube ma tracce di radioattività perchè i valori sono veramente bassissimi: siamo nell’ordine di un decimo di millesimo di becquerel per metro cubo (l’unità di misura della concentrazione di un radionuclide) in aria».
Per quanto riguarda la Lombardia cosa dicono i dati sulla deposizione al suolo?
«Si sono depositati sul terreno circa 3 becquerel per metro quadrato di iodio 131. Dopo Chernobyl avevamo concentrazioni da 10 a 80mila becquerel per lo iodio 131 e da 5mila a 40mila becquerel per il cesio 137. Le nuove deposizioni hanno valori che non hanno nessuna rilevanza numerica e nessun effetto sanitario perchè quasi indistinguibili dal fondo già presente».
Cosa farete come Arpa nelle prossime settimane?
«Andiamo avanti con il monitoraggio quotidiano, che peraltro facciamo dal 1988».
Cosa rischierebbe l’Italia con la riapertura delle centrali nucleari?
«Dovranno essere valutati gli insegnamenti di questo incidente per i programmi nucleari italiani. Le centrali giapponesi erano modelli della metà degli anni ’70 e hanno subito uno shock che nessun modello di rischio ha mai preso in considerazione. Il Governo ha ragionevolmente deciso di prendersi il tempo di verifica ma non dimentichiamoci che in Europa e Giappone le altre centrali continuano a funzionare regolarmente».
E per quanto riguarda l’alimentazione il sushi come l’insalata del post-Chernobyl?
«Il sushi consumato in Italia viene prevalentemente dal mercato europeo e non ha nessun senso bloccare cibi cucinati alla giapponese. Per quelli importati c’è un programma di controllo e se vengono messi sul mercato hanno l’autorizzazione del Ministero della salute. Per le nostre produzioni possiamo mangiare in grande tranquillità perchè non c’è nessuna contaminazione radioattiva».