Professor Balboni, ieri il sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia ha detto che le centrali nucleari saranno costruite solo nelle regioni che le vorranno. È così?
Il riparto delle competenze è assai complicato, perché quella energetica è materia concorrente tra Stato e Regioni. A dirimere la questione è intervenuta la Corte Costituzionale con due sentenze, la 331 del 2010 e la recentissima 33 del 2011. Entrambe redatte dal presidente Ugo De Siervo…
E cosa hanno stabilito?
Diciamo, per semplificare, che la prima dava una certa prevalenza allo Stato, la seconda va più in direzione delle richieste delle Regioni. Nel 2010 la Corte aveva bocciato le leggi regionali di Puglia, Calabria e Campania che vietavano il nucleare sul loro territorio, stabilendo che non potevano legiferare su una materia di competenza del governo centrale come la politica energetica.
E con la decisione del febbraio scorso?
Il governo voleva rivolgersi solo alla conferenza Stato-Regioni. La sentenza ha reso invece la singola Regione dominus della localizzazione degli impianti. Ma fino a un certo punto…
In che senso?
Diciamo che c’è un aggravio per lo Stato, che ora deve cercare l’intesa con la Regione nel quadro della cosiddetta leale cooperazione tra Stato ed enti locali, e deve chiedere un parere, che è obbligatorio, anche se non vincolante.
Cosa significa «non vincolante»?
Che lo Stato può andare ugualmente per la sua strada e discostarsi dalla decisione della Regione. Anche se, in quel caso, dovrà dimostrare di aver cercato l’intesa e di aver seguito dei criteri oggettivi per la successiva scelta. Insomma, il governo non potrà piazzarla in Toscana per dispetto perché lì sono di centrosinistra, ma potrà se, per esempio, dimostra che lì ci sono le ideali condizioni tecniche.
Quindi lo Stato potrebbe costruire centrali anche in regioni che si oppongono?
Dal punto di vista della legge sì. Poi ci sarebbero valutazioni di convenienza politica, evidentemente.
Il governo sembra voler mettere sul binario morto le modifiche, in discussione in questi giorni, al decreto legislativo 31 del 15 febbraio 2010 sulla «disciplina della localizzazione delle centrali». Cosa succede se scade?
Nel caso, verrà fatta un’altra delega. Scaduto un decreto, se ne fa un altro.
Ma il prossimo referendum sul nucleare del 12-13 giugno? Andiamo a votare un lungo testo nel quale si fa riferimento anche all’abrogazione di norme comprese proprio in quel decreto…
Non cambia nulla, dal momento che la Cassazione ha dichiarato ammissibile il referendum. E poi c’è una questione di fondo. I referendum sono sempre atti politici. Le questioni giuridiche sono spesso estremamente intricate. Chi è che va a leggersi quelle pagine fitte e, soprattutto, quanti hanno gli strumenti per capirle? Sono difficili per i tecnici, figurarsi per il popolo chiamato a esprimersi… In fondo, anche nel 1987, i tre referendum in materia non abrogarono certo il nucleare, cosa che sarebbe stata impossibile. Ma tre norme specifiche: quella che consentiva al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di scegliere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non avessero deciso entro tempi stabiliti; il compenso ai Comuni che ospitavano centrali nucleari o a carbone; la norma che permetteva all’Enel di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero. Niente, insomma, dal punto di vista giuridico, imponeva di fermare le vecchie centrali o di non aprirne di nuove. Fu poi la lettura politica a trasformare la consultazione in un sì o no al nucleare e, visti i risultati, a far propendere per l’addio all’atomo.