Provate ad analizzare questa due-giorni di festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Coglietene i simboli, depurateli del superfluo, e andate pure al bersaglio grosso: è decisamente nata la dittatura della serietà, che conduce questo Paese disastrato tra le braccia di una Repubblica presidenziale ritagliata sulla figura di Giorgio Napolitano. Il “golpe bianco” è avvenuto lentamente, stilla dopo stilla, codicillo dopo codicillo, bunga dopo bunga, ma ora è negli occhi, negli sguardi, nelle aspettative di moltissimi italiani.
Intendiamoci: gli sguardi non sono voti. Ma intenzioni di voto forse sì. C’è assolutamente da stupirsi che il gaudio che doveva accompagnare – unanimemente – un momento unico nella storia del Paese, si sia fermato sull’uscio del presidente del Consiglio, decidendo per lui una condizione subalterna non solo rispetto al Capo dello Stato, ma all’interno dell’intera rappresentazione istituzionale di una Festa.
Non saranno certo quattro contestatori in servizio permanente effettivo a dare il segno della debolezza del Cav., no, qui piuttosto c’è una sensazione più diffusa, una ricerca quasi spasmodica di sobrietà, persino al di là della sostanza politica. Da italiano, come non preoccuparsi se il presidente del Consiglio si costringe a un’uscita secondaria di una chiesa per evitare fischi e improperi, preludio politico a un’autocertificazione di debolezza, come se un antico e glorioso orgoglio di combattente si sfarinasse sotto i colpi di qualche improbabile “dimettiti!”. Faceva impressione persino quel momento di sommo godimento musicale a suggello di una giornata memorabile, in cui tutto un teatro – musici, pubblico, il maestro Muti – era chiamato a scandire un coro nabucchiano – “presidente, presidente” – all’indirizzo di un Napolitano commosso, con il pur tenero Silvio in secondo piano dimenticato da dio e dagli uomini.
Ma se nei simboli non c’è immediata sostanza politica, si può supporre ch’essi nascondano almeno il germoglio di un’evoluzione. Che non ha certamente un cammino definito, né protagonisti certi. Dopo la sbornia per l’Unità d’Italia, si ritorna all’imperfettissima repubblica parlamentare, nella quale il premier, buon per lui, ritroverà l’attitudine a essere protagonista. Ritroverà, altresì, il suo competitor naturale nella persona di Giorgio Napolitano, il quale ha davvero poco del suo penultimo predecessore Scalfaro: nel corso del suo mandato, Oscar Luigi disvelò – in modo del tutto evidente – una clamorosa avversione nei confronti di Berlusconi. Qui siamo invece in presenza di un uomo che ha totalmente a cuore l’equilibrio delle istituzioni e, soprattutto, che non avverte su di sé il peso di rappresentare altro se non le funzioni che appartengono al suo ruolo. Uomo di sinistra, fino in fondo, che per la sinistra (o peggio per l’avversione al premier) non si giocherebbe mai la reputazione di garante super partes guadagnata sino a ora.
E’ proprio per questo che la Repubblica presidenziale, che di fatto governa l’Italia, è la pericolosissima opzione con cui il Cav. si deve confrontare.