E così, dopo anni di discussioni su quale sia la governance più efficiente per le società private, ci si trova ad ammettere che in Italia, a decidere su quasi tutto, è un ministro della Repubblica. Parliamo, naturalmente, di Giulio Tremonti. Il suo benestare risulta decisivo, a leggere le cronache di queste settimane, su Edison e Telecom, oltre che naturalmente sul grande giro di nomine delle grandi partecipate dallo Stato come Finmeccanica, Eni, Terna e d Enel. Non solo dominus incontrastato del controllo dei conti pubblici, della feroce lotta all’evasione e dei tagli alla spesa. Non solo, insomma, primo ministro di fatto del nostro paese, cui anche il premier Silvio Berlusconi confida di dover chiedere il permesso per ogni prospettiva politica che implichi una spesa, anche adesso che di rilanciare l’azione di legislatura c’è bisogno, visto che le urne sono ogni giorno più lontane. Ieri ad Annozero Tremonti è tornato anche ad attaccare le istituzioni bancarie e finanziarie, che hanno riportato la massa dei derivati ai livelli precedenti al 2007. Nei giorni scorsi la sua politica del rigore si è fatta sentire sul settore delle rinnovabili, riguardo al quale l’improvviso taglio degli incentivi ha suscitato malumori e proteste accese. Dietro all’apertura di Scaroni sulla possibilità che Eni ceda la rete del gas Eni c’è sicuramente un input che arriva dal ministero, che del resto di Paolo Scaroni è sostanzialmente il datore di lavoro, detenendo direttamente o indirettamente oltre il 30% del capitale.
Ma anche sulle società private operanti in settori strategici che Giulio Tremonti dice la sua. Partiamo da Edison. Nella società di Foro Bonaparte, la maggiornaza azionaria relativa è già nelle mani dei francesi di Edf, ma i patti parasociali attribuiscono un peso sostanzialmente paritario al socio francese, Edf, e a quello italiano, la multiutility lombarda A2A. A2A è nata quattro anni fa dalla fusione (benedetta allora dal centrosinistra al governo) di Aem Milano e Asm Brescia, è quotata in borsa controllata dai Comuni di Milano e Brescia, e tra gli scopi non dichiarabili ma primari della fusione figurava proprio la difesa dell’italianità di Edison. Quattro anni dopo, aldilà delle molte critiche ricevute dalla governance duale di A2A e della dubbia efficienza dell’operazione, si tratta di riconoscere e formalizzare che l’italianità di Edison è storia del passato. E che la grande azienda energetica è ormai un’azienda francese con sede a Milano. Il cammino era avviato da settimane anche in vista della scadenza del patto, ma mercoledì arriva lo “stop” di Tremonti, che in una serie di incontri con le amministrazioni comunali lascia intendere che sarebbe meglio, come minimo, congelare tutto per un po’, aspettare e vedere il da farsi. Tarantini, presidente del Consiglio di Sorveglianza espresso dal Comune di Brescia, si affretta a dire che non di uno stop si è trattato, ma ieri all’uscita da A2A il presidente del Consiglio di Gestione Giuliano Zuccoli ha detto che «prorogare i patti attuali è un’ipotesi di buon senso». Insomma, si congela tutto, come diceva Tremonti. Lo stesso Tremonti che, con il controllo rigido dei conti e del patto di stabilità interno, fa sì che i Comuni italiani – Milano e Brescia, tra gli altri – debbano fare i conti con le ristrettezze di cassa che tutti conosciamo e che i sindaci assai spesso lamentano. Terminale delle lamentele e delle richieste, peraltro, è sempre il ministro dell’Economia. Lo stop sancito ieri pesa gravemente sul titolo di borsa, a dimostrazione che il mercato si aspettava e sperava una riorganizzazione aziendale a vantaggio dei francesi.
C’è poi la questione Telecom. A governare la prima azienda di telecomunicazioni del paese è un patto tra società private che non si occupano di reti: Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Generali, più gli spagnoli di Telefonica. A primavera scade il mandato di Franco Bernabé, scelto a suo tempo da due banchieri di peso come Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli. In Mediobanca – azionista importante, ma certo non unico – si vorrebbe fare diventare Bernabé presidente trovando poi due figure di direttore generale. Continuità o discontinuità? Alcuni azionisti, a cominciare da Mediobanca, puntano sulla discontinuità, proponevano di conservare per Bernabé una funzione di presidente con deleghe affidando però la gestione dell’azienda a due direttori generali. Per ragioni sia strategiche che tattiche, il ministro dell’Economia sta dalla parte della continuità. Peserebbe, in particolare, un accordo fatto tra Telecom e Cassa Depositi e Prestiti per uno sviluppo condiviso della rete. Cassa Depositi e prestiti, peraltro, è controllata dal Ministero e partecipata dalle fondazione bancarie, e nel suo cda siede il direttore generale del Ministero del Tesoro Vittorio Grilli, mentre amministratore delegato è Giovanni Gorno Tempini, manager vicino a Giovanni Bazoli.
L’attivismo di Tremonti sui conti pubblici e sulle aziende quotate a controllo pubblico come Eni, Enel e Finmeccanica ha, naturalmente, tutt’altro valore, rientrando – pur con qualche sfumatura – nelle prerogative che gli assetti azionari e i compiti istituzionali che il ministro ha. Resta apertissimo, tuttavia, il tema politico le spinte provenienti da Giulio Tremonti pongono: valeva la pena di dichiarare tanta fiducia alle privatizzazioni, al mercato, alle libertà economiche nella libera Europa, per trovarsi così spesso di fronte agli indirizzi pressanti della politica? Le opzioni che propone Tremonti, forse, sono le migliori possibili, o forse no. Ma il suo potere di veto dice molto di una classe dirigente locale e nazionale, pubblica e privata, che non è quasi mai in grado di trovare la forza per dire “no grazie”, avocando a sé il rischio, ma anche gli eventuali meriti, che le scelte strategiche comportano sempre.