Eni in Libia vuole una stabilità qualsiasi

Eni in Libia vuole una stabilità qualsiasi

Mentre in Libia la crisi non sembra trovare sbocchi e si susseguono le notizie circa la resa e la fuga in Tunisia di diversi militari lealisti, sembra che il governo di Muammar Gheddafi stia cercando di aggirare le sanzioni internazionali sulle importazioni di benzina in Libia occidentale utilizzando intermediari che trasferiscono il carburante attraverso navi in Tunisia.

Il regime infatti non disporrebbe di una piena capacità di raffinazione e questo potrebbe comportare sempre più crescenti difficoltà nell’alimentare i mezzi militari e di trasporto per condurre la guerra con i rivoltosi e sedare le insurrezioni. La Libia infatti ha sempre esportato greggio e importato benzina per i propri fabbisogni interni, principalmente dall’Italia. Secondo indiscrezioni, riprese anche dalla stampa specializzata del mondo dell’energia, una società intermediaria, la Champlink, con base ad Hong Kong, in precedenza sconosciuta al mondo del commercio del petrolio, avrebbe proposto una transazione per consegnare carburante in Libia, mentre anche altri operatori europei avrebbero denunciato di essere stati avvicinati da altre aziende simili.

Funzionari del regime di Gheddafi starebbero cercando di comprare benzina, attraverso il porto tunisino di La Skhira, passando il carburante da nave a nave. La commissione alla Champlink sarebbe giunta da Tripoli: una richiesta di carichi quindicinali di 25.000 tonnellate di benzina per i prossimi sei mesi, sottolineando la possibilità di «un trasferimento da petroliera a petroliera». Gheddafi sta così cercando di aggirare l’embargo sfruttando cargo e società utilizzatrici finali che non si trovino sulla lista delle sanzioni internazionali. Una politica che getterebbe ombre sulla capacità della comunità internazionale di isolare il regime libico e di fiaccarlo con le sanzioni.

Proprio con questo scopo il Consiglio Ue degli affari esteri aveva deciso, l’11 aprile, di aggiungere due nomi alla lista delle personalità legate al regime libico di Gheddafi colpite dal blocco di visti di viaggio e 26 entità economiche a cui sono stati congelati i beni. Undici di queste 26 società sono attive nel settore energetico (petrolio e gas), controllate dalla Noc; in particolare tre sono joint-venture con Total, Occidental e Petro Canada, alcune sono società di E&P, una è la Tamoil Africa. «Questo è un ulteriore passo in avanti critico verso il blocco del sistema di finanziamento del regime di Gheddafi», aveva spiegato il ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle, affermando che in questo modo «abbiamo imposto ‘de facto’ un embargo petrolifero e del gas». In totale, il blocco di viaggi ha colpito 38 persone, mentre il congelamento dei beni riguarda 39 persone e 46 società. Musa Kusa, l’ex ministro degli Esteri di Gheddafi che aveva abbandonato il regime, fuggendo a Londra, è stato tolto dalle due liste, alimentando speculazioni sul fatto che fosse già da tempo una fonte per i servizi occidentali.

Le decisioni internazionali ed europee, tuttavia, rischiano di non essere mai al passo con le mosse del regime di Gheddafi come testimonierebbero le vicende della Champlink. Il petrolio è l’entrata fondamentale della Libia (il 95% degli introiti del paese) e costituisce la fonte strategica per eccellenza, soprattutto in tempo di guerra. Le forze di Gheddafi sembrano ancora avere il controllo della maggior parte dei giacimenti petroliferi e di gas, compresi quelli in Cirenaica. D’altra parte il controllo dei pozzi, situati per lo più nell’entroterra desertico, rappresenta anche un impegno militare eccezionale per le forze di Gheddafi. Complessivamente la produzione petrolifera libica in poche settimane è scesa da circa 1,6 milioni a 250.000-300.000 barili al giorno, interamente utilizzati per uso interno, sia su un fronte che sull’altro.

È logico pensare che in questa situazione le prime sconfitte di questa guerra siano le compagnie internazionali presenti in Libia, prima fra tutte l’Eni. In Libia l’Eni deve far fronte ad «una perdita di produzione importante» che «peserà sulla produzione dell’anno». come sottolineato dall’amministratore delegato del gruppo, Paolo Scaroni, Anziché 280 mila barili al giorno, l’Eni produce oggi 50-60 mila barili: una perdita di produzione importante. Nell’ultima settimana Eni ha noleggiato una petroliera, la Aqua, battente bandiera maltese, per mettere in sicurezza circa 600 mila barili di greggio di propria spettanza, dal terminale petroliero di Mellitah. Un’operazione che riguarda appunto greggio di proprietà dell’Eni e non della National Oil Company libica (Noc) sotto embargo, che non dovrebbe comportare quindi passaggio materiale di fondi a favore di Gheddafi e che sarebbe stata autorizzata sia dalla Noc che dalla Nato. La Aqua però sarebbe ancora in attesa di attracco in Libia.

È indubbio comunque che a tifare per la fine della crisi vi siano soprattutto l’Eni e gli operatori del settore italiani. Per gli interessi della compagnia italiana la stabilità della Libia, di qualsiasi colore sia, costituisce l’obiettivo fondamentale. Come la storia ci ha raccontato, dietro il cambio ufficiale di posizione del governo italiano, che ormai sostiene apertamente gli insorti e il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, nell’insicurezza dell’esito della guerra, potrebbero persistere i vecchi legami.

*Ricercatore Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi)

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