Obama si ricandida ma dategli un avversario

Obama si ricandida ma dategli un avversario

Chi ha il coraggio di candidarsi contro Obama? La domanda sta diventando imbarazzante per il partito repubblicano. Quattro anni fa, all’inizio di aprile, otto esponenti repubblicani avevano già lanciato la candidatura alle primarie. Il primo era stato il governatore del Kansas, Sam Brownback, il 20 gennaio 2007. Avevano seguito il suo esempio il deputato Duncan Hunter (25 gennaio), il pastore battista Mike Huckabee (28 gennaio), il mormone Mitt Romney (13 febbraio) e l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani (15 febbraio). Poi erano scesi in campo il “libertarian” Ron Paul (12 marzo), l’ex governatore del Winsconsin Tommy Thomson (1 aprile) e l’ultraconservatore Tom Tancredo (2 aprile). Quando John McCain (che avrebbe conquistato la nomination) scese in campo, il 25 aprile, il parterre dei candidati era già affollato. Dall’altra parte i candidati democratici, a quel punto, erano ormai una decina.

Quattro anni dopo, all’inizio di aprile non c’è alcun candidato in lizza e i pochi di cui circola il nome sono gli sconfitti di quattro anni fa. L’establishment di Washington spera in una candidatura del mormone Mitt Romney, il più accreditato, forse l’unico in grado di dialogare con l’elettorato progressista moderato: ci riuscì nel 2002, quando riuscì a farsi eleggere governatore del Massachusetts. Secondo gli ultimi sondaggi Gallup, Romney avrebbe il 18% delle preferenze nell’elettorato repubblicano Ma già quattro anni fa, quando fu sconfitto da John McCain, molti analisti si chiedevano se gli Stati Uniti erano pronti a eleggere un presidente mormone.

Un po’ meglio di Romney (20% secondo Gallup) sembra andare il pastore Mike Huckabee, esponente della destra religiosa, eterno outsider che già quattro anni fa mise in difficoltà McCain. E poi c’è Sarah Palin (12%), campione dei Tea Party, la cui popolarità divide i repubblicani. Pochi pensano che la Palin possa essere un serio candidato anti-Obama. Tutti i sondaggi dicono in un confronto elettorale con il presidente in carica sarebbe staccata anche di 20 punti. Pure, la sua influenza sulla destra conservatrice è forte, e avrà un peso inevitabile nella campagna che sta per aprirsi. Per questo molti candidati moderati potrebbero decidere di saltare un turno, aspettando le presidenziali del 2016, sperando che il movimento dei Tea Party perda slancio.

Molti repubblicani, dopo la vittoria elettorale del novembre 2010 e la riconquista della maggioranza alla Camera, si erano illusi che la battaglia del 2012 sarebbe stata facile. Il parallelo tra Obama e Jimmy Carter è stato più volte sottolineato anche da alcuni esponenti progressisti radicali. Ma per battere Carter ci volle Ronald Reagan e non sembra che oggi il partito repubblicano abbia un candidato di pari carisma da mettere in campo.

Inoltre l’economia sembra migliorare e nel mese di marzo, stando ai dati comunicati due giorni fa dalla Fed, negli Stati sono stati creati 216 mila posti di lavoro, un dato positivo che anche gli esponenti repubblicano hanno dovuto riconoscere. La disoccupazione è ancora alta, 8.8%, ma continua a scendere. In un’interessante ricerca di Matt McDonald della Hamilton Place Strategies (citata da James Pethokoukis sul sito della Reuters) si valuta che per far scendere il livello di disoccupazione sotto la soglia psicologica dell’8% sarà necessario creare 215 mila posti di lavoro al mese da oggi fino all’Election Day del novembre 2012.
Andando a ritroso nel tempo, osservando i comportamenti elettorali degli americani, è evidente che lo stato dell’economia, e soprattutto il livello della disoccupazione, hanno sempre avuto un effetto decisivo sull’esito elettorale dal 1960 in poi. In tre occasioni (1976, 1980 e 1992), quando il partito del presidente in carica fu sconfitto (rispettivamente da Jimmy Carter, Ronald Reagan e Bill Clinton), la disoccupazione era sopra il 7%.

Solo Ronand Reagan (nel 1984) riuscì a vincere con un tasso di disoccupazione del 7,2%. Ma quell’impresa gli riuscì perché nell’anno elettorale il tasso di disoccupazione crollò dell’1,3%. I repubblicani che oggi tentennano nel lanciare la propria sfida a Obama temono che l’anno prossimo potrebbe ricrearsi una situazione simile a quella del 1984: con un presidente carismatico che si candida alla rielezione e un mercato del lavoro in fermento proprio nell’anno del voto.