Operazione trasparenza per le discusse finanze vaticane. Oggi entrano in vigore le nuove norme antiriciclaggio fortemente volute da Benedetto XVI per sbarcare nella lista dei Paesi Ocse virtuosi sul fronte del contrasto alle mafie e del finanziamento al terrorismo. Via libera, dunque, all’Aif, una vera e propria authority che si occuperà di «prevenzione e contrasto» dei movimenti di denaro sospetti entro le mura della Città del Vaticano.
A presiedere questo ente di vigilanza sarà il cardinale Attilio Nicora, nominato ai vertici dell’Aif da Benedetto XVI lo scorso 19 gennaio. Una scelta all’insegna della continuità tra le alte gerarchie fedeli a Giovanni Paolo II e la nuova classe dirigente porporata di Joseph Ratzinger. Proprio per questo, gli osservatori più attenti hanno denunciato il conflitto d’interessi in cui si troverebbe Nicora, considerato uno dei padri dell’otto per mille, che attualmente ricopre la carica di presidente dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio immobiliare della Santa Sede. Il diretto interessato ha reso noto che, quando l’Aif esaminerà questioni relative all’Apsa, non parteciperà alle riunioni, ma tant’è.
Di concerto con il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, Nicora ha poi nominato il Direttore Generale Francesco De Pasquale, avvocato cassazionista ed ex componente della delegazione italiana del Fatf, l’organismo internazionale che detta le linee guida in materia di antiriciclaggio, mentre i consiglieri sono Marcello Condemi – docente all’Università Guglielmo Marconi di Roma, anch’egli membro del Fatf – Cesare Testa, Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto e Claudio Bianchi. Un dream team di riconosciuti esperti, molti dei quali con un passato nella Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia , e con un ruolo importante nella definizione dell’8 per mille. Un segnale forte e chiaro per l’ente parigino, tra i cui compiti c’è quello di decidere i componenti della «white list» Ocse.
Tanto le recenti cronache relative all’avviso di garanzia recapitato al presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e al direttore generale Paolo Cipriani per la movimentazione sospetta di 23 milioni di euro depositati da anonimi su un conto della banca vaticana presso la sede romana del Credito Artigiano, diretti alla J.P. Morgan di Francoforte e alla Banca del Fucino quanto l’affittopoli gestita da Angelo Balducci hanno riacceso i riflettori sulla gestione poco chiara dell’economia vaticana. Tuttavia, l’incipit del percorso che ha portato alla costituzione dell’Aif risale a tre anni fa.
Il 17 dicembre 2009, il presidente della Commissione Europea Joaquin Almunia, allora Commissario agli Affari Economici e l’Arcivescovo André Dupuy, nunzio apostolico presso l’Ue, siglarono l’intesa con cui il Vaticano assume l’euro come propria moneta. Nel testo, si legge che quest’ultimo si sarebbe impegnato ad adottare la normativa comunitaria antiriciclaggio 60/2005, oltre ad impegnarsi a fare circolare un minimo annuo di 2 milioni e 300 mila euro di monete e con l’effigie vaticana, per non riservarle soltanto ai collezionisti e violare così le norme del mercato unico comunitario.
Impegni formalizzati 12 mesi dopo, con la legge 127 del 30 dicembre 2010, istitutiva dell’Aif, che ha poteri di vigilanza «nei confronti di ogni soggetto, persona fisica o giuridica, ente ed organismo di qualsivoglia natura dello Stato della Città del Vaticano, dei Dicasteri della Curia Romana e di tutti gli Organismi ed Enti dipendenti dalla Santa Sede». Compresa, dunque, la banca vaticana.
Rispetto alla legge italiana, tuttavia, alcuni punti controversi di quella che è stata definita una vera e propria «rivoluzione» nel sistema economico della Santa Sede rimangono. Uno su tutti: in Italia il divieto di circolazione di contante tra privati scatta per somme pari o superiori a 5mila euro, mentre per la legge della Santa Sede, come si legge nel Capo V della 127, all’art. 28, scatta «quando si eseguono operazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore ad euro 15.000, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con un’operazione unica o con diverse operazioni collegate».
Ranieri Razzante, consulente della Commissione Antimafia del Parlamento e fondatore dell’Aira, l’Associazione Italiana dei Responsabili Antiriciclaggio, spiega a Linkiesta le criticità della legge: «Da oggi, chi varca le mura vaticane con delle somme in contanti le deve dichiarare all’Aif, ma può spenderle come vuole e viene registrato solo per somme superiori a 15mila euro. L’obbligo decade, tuttavia, se il pagamento viene effettuato con assegni. Non è previsto, inoltre, l’archivio unico informatico, obbligatorio in Italia per banche e intermediari finanziari, quindi possono sfuggire i frazionamenti». Una nota innovativa, per Razzante, riguarda «l’inclusione delle imprese commerciali nell’obbligo di segnalazione, e soprattutto il reato di “autoriciclaggio”, fattispecie assente nella normativa italiana in materia». «Vedremo», conclude Razzante, «se i regolamenti Aif che implementeranno la legge terranno conto di queste criticità». Tra cui spicca, infine, l’assenza dei reati di natura fiscale. Ad esempio, il riciclaggio di denaro frutto di evasione in un altro Paese. In ogni caso, le pene sono esemplari: fino a 12 anni di carcere per riciclaggio o finanziamento al terrorismo.
Nonostante i proclami, per ora sembra che la riforma fiscale vaticana lascerà senza risposta la vera questione-chiave che fa della Città del Vaticano un paradiso fiscale: l’anonimato del conto corrente. Ancora oggi, grazie a buone amicizie ai piani alti della curia, è possibile aprire un conto corrente senza rendere nota la vera identità del proprietario. Tuttavia, anche questo segreto potrebbe presto cadere. Sembra infatti che nelle scorse settimane ci siano stati dei contatti con il ministero dell’Economia proprio allo scopo di affrontare il tema. Le spesse mura del Torrione Niccolò V, sede dello Ior, potrebbero non essere più così impenetrabili.