Senza bilancio a mezzanotte l’America chiude

Senza bilancio a mezzanotte l'America chiude

La scadenza è fissata da tempo: la mezzanotte di oggi. Se a quell’ora i gruppi democratici e repubblicani della Camera non avranno raggiunto un compromesso sul bilancio dello Stato, l’amministrazione pubblica Usa resterà con le casse vuote e dovrà mandare a casa 800 mila impiegati. Importanti servizi saranno sospesi. I parchi nazionali chiuderanno. I rimborsi fiscali ai cittadini saranno bloccati. I soldati riceveranno lo stipendio in ritardo. Gli uffici delle statistiche smetteranno di elaborare dati e questo metterà in difficoltà sia Wall Street sia le banche che devono erogare mutui.

Potrebbe ripetersi quello che accadde alla fine del 1995, quando Speaker della Camera era Newt Gingrich, alla Casa Bianca sedeva Bill Clinton, i repubblicani avevano vinto le elezioni del novembre 1994 e bloccarono il voto sul budget lasciando l’amministrazione con le casse vuote: fu lo “shutdown” più lungo della storia americana: 22 giorni. Oggi la situazione è analoga. I repubblicani hanno prevalso nelle elezioni di medio termine del novembre 2010, Speaker della Camera è il repubblicano John Boehner e alla Casa Bianca siede un indebolito Barach Obama. Le analogie con sono evidenti, ma oggi lo scontro è, se possibile, ancora più cruento di allora perché alla Camera siedono decine di rappresentanti dei Tea Party che spingono il partito repubblicano verso una radicalizzazione dello scontro.

L’oggetto della battaglia è un taglio al budget per gli ultimi mesi dell’anno fiscale 2011 che si chiude a settembre. I democratici sono disposti a concedere una sforbiciata di 33 miliardi di dollari, i repubblicani ne chiedono il doppio. Lo scontro si è infiammato negli ultimi giorni, quando si è capito che l’ala conservatrice del partito repubblicano è disposta a un compromesso solo se i democratici saranno disposti a fare marcia indietro su alcuni punti chiave: per esempio l’aborto, la pianificazione familiare, la lotta al riscaldamento globale.
Al centro non c’è più solo la battaglia sul peso dell’amministrazione pubblica nell’economia. Si è riaperta, sempre più cruenta, la vecchia battaglia tra le culture che dagli anni Settanta infiamma la società americana.

I repubblicani sono disposti a un compromesso sui numeri se i tagli ottenuti saranno particolarmente qualificati agli occhi dei loro elettori. Chiedono di eliminare i finanziamenti pubblici alle organizzazioni non profit che offrono assistenza all’aborto, per esempio il Planned Parenthood, un’organizzazione che aiuta le donne povere (e gode di 330 milioni di dollari di finanziamenti federali). Vogliono tagliare gli aiuti al Population Fund dell’Onu, che già George Bush boicottò perché distribuiva preservativi per limitare le nascite e combattere l’Aids. Chiedono tagli ai finanziamenti alla riforma sanitaria introdotta dall’amministrazione Obama. Pretendono di eliminare che il ministero dell’Ambiente (Environmental Protection Agency) non preveda alcun contributo pubblico per limitare le emissioni che provocano l’effetto serra. Anche i nuovi progetti di infrastrutture pubbliche, specie le ferrovie, sono nel mirino dei repubblicani.

Improvvisamente la discussione, che fino a pochi giorni fa era rimasta sul territorio dei conti (è auspicabile tagliare le spese pubbliche proprio nel momento in cui l’economia rialza la testa e la disoccupazione comincia a calare?), ha assunto i toni della guerra ideologica. Mercoledì Obama, che fino a quel momento era rimasto defilato, ha cominciato a tessere le fila di una possibile mediazione, e ha cominciato ad accusare i repubblicani di voler mettere per strada 800 mila lavoratori, con grave danno all’economia, per perseguire i propri obiettivi ideologici.

Pochi sperano che un accordo sarà raggiunto prima di mezzanotte, anche se il tono del presidente Obama, nelle ultime ore, è sembrato più ottimista. Ma potrebbe trattarsi di pretattica. Entrambi i partiti vogliono scaricare sugli avversari la responsabilità del trauma che a cui comunque il paese andrà incontro se migliaia di uffici dovranno chiudere. Gli ultimi sondaggi non dicono ancora quale dei due partiti subirà il maggior danno di immagine. Ma un’indicazione emerge chiara: gli elettori repubblicani, specie quelli legati ai Tea Party, sono meno orientati al compromesso di quelli democratici. Secondo un sondaggio di Wall Street Journal/NBC il 68% dei repubblicani chiedono al partito di tenere duro, mentre la maggioranza dei democratici gradirebbero un accordo.

Quando questo problema sarà risolto si aprirà probabilmente la corsa alla candidatura nel partito repubblicano. Sono numerosi i candidati che scalpitano, ma in questi giorni sta emergendo la stella del costruttore Donald Trump, che secondo alcuni sondaggi sarebbe il candidato più gradito all’elettorato radicale dei Tea Party. Difficile (almeno oggi) immaginare che un candidato con un passato così chiacchierato e controverso possa davvero ambire alla Casa Bianca. Ma questa prima indicazione dei sondaggi mostra quanto “antipolitica” e “antiestablishment” stia diventando la destra radicale americana.
 

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