I carri armati inviati dal presidente siriano Bashar al-Assad a Daraa, città ribelle del sud, continuano a sparare nei quartieri centrali, intorno alla moschea Omari. E almeno sei persone sono morte durante le proteste che hanno preceduto i funerali delle 64 vittime di ieri in scontri con la polizia, secondo l’agenzia Afp. Anche l’emittente satellitare al-Jazeera riferisce la testimonianza di un residente di Daraa in collegamento telefonico, mentre si sentivano in lontananza gli spari dei tank. Diversi i feriti, in gran parte curati in modo approssimativo all’interno delle case, visto che è impossibile muoversi in città.
Oltre ai carri armati, infatti, Daraa è presidiata dai cecchini e da militari e poliziotti che eseguono decine di arresti. La fonte ha parlato di una ventina di carri armati giunti in città all’alba e ha precisato che l’attacco contro il centro cittadino è condotto dalla quarte divisione dell’esercito, comandata dal fratello del presidente, Maher al-Assad. Un secondo testimone ha confermato il racconto, aggiungendo che con i carri armati sono arrivate a Daraa decine di furgoni carichi di soldati. Elicotteri militari, inoltre, sorvolano la città. «Sia i soldati con le loro armi sia i carri armati sparano contro le case – ha riferito – Gli spari sono più intensi intorno alla moschea Omari».
Ma a Daraa si registrano anche le prime defezioni dell’esercito siriano: circa 300 soldati avrebbero abbandonato le fila dell’esercito, schierandosi al fianco dei manifestanti. E oggi sono arrivati in Turchia un gruppo di 250 siriani residenti in alcuni villaggi a ridosso della frontiera turco-siriana, che ieri avevano attraversato il confine per sfuggire alle violenze in atto nel loro paese. Lo riferiscono oggi diversi giornali di Ankara e l’agenzia statale turca Anadolu. I fuggitivi siriani (145 uomini, 44 donne e 61 bambini) avevano attraversato la frontiera nei pressi della località di Yayladagi, nella provincia meridionale di Hatay che confina con la Siria. Inizialmente fonti turche avevano riferito che ai siriani – che sventolavano bandiere turche e scandivano slogan come «Vogliamo la democrazia» e «Vogliamo vivere come i turchi» – non era stato concesso il permesso di ingresso nel paese. Muhammed Simeydo, uno dei siriani rifugiati ora insieme con moglie e sei figli in una delle 50 tende allestite in fretta dalla Mezzaluna Rossa, ha detto all’Anadolu che in questo momento «ci sono migliaia di siriani che vorrebbero riparare in Turchia». «In Siria uccidono la gente, gli uomini della sicurezza usano una forza sproporzionata ed è per questo motivo che siamo stati costretti ad abbandonare le nostre case». Il bilancio dall’inizio della rivolte è di almeno 550 morti.