Più che una facoltà sembra un punto Snai dove il più bravo è quello che riesce a comporre la schedina dei crediti azzeccandoli tutti. Andare all’università in Italia è un po’ come lavorare senza però guadagnare una lira. Anzi, pagando tasse salate. E poi le segreterie amministrative sono piene come alla Posta, i segretari inefficienti che “io non so, chiami l’altra sede”, studenti disperati intenti ad “incastrare” esami, stage e crediti formativi, per non parlare di alcuni esami e corsi di laurea che da settembre sono “fantasma”.
Benvenuti alla terza università di Roma, ma potremmo anche essere in quella di Bari o di Bologna. Atenei dove gli specializzandi del secondo anno vorrebbero seguire le lezioni ma spesso non possono farlo. Prendete Laura, siciliana classe ’84, una delle 668 specializzande iscritte a scienze politiche a Romatre. Alle 11.30 si è appena seduta in classe. Ha fatto tardi perché è passata al volo in segreteria studenti per prendere il fatidico “numeretto”. La gara è a chi arriva prima alla macchinetta che distribuisce i bigliettini numerati. Di solito funziona così: ci si va la mattina presto prima che la segreteria apra (alle 10), si tenta di afferrare il numero migliore e si ritorna prima che chiuda (ore 14) sperando che la coda sia scemata ma che il tuo turno non sia già passato. In quel caso, tocca ricominciare da capo il giorno dopo. Laura ha “conquistato” il numero 66. Deve solo prendere il certificato di laurea triennale e il libretto per gli esami. È iscritta dall’aprile 2010 e da un anno va ancora in giro con lo statino, un fogliaccio dove si annotano di volta in volta gli esami verbalizzati. Sono le 10 e la fila è quasi chilometrica. «Romatre – sospira Laura – ha solo uno sportello amministrativo per tutte e otto le facoltà e per gli oltre 40mila iscritti. Geniali».
Ore 11,45. Laura segue Storia delle guerre. Il prof. spiega quale sarà il programma per gli studenti da 8 crediti. Peccato che il suo piano di studi preveda lo stesso esame ma per 3 crediti. Domanda: «Scusi, professore, io porto solo tre crediti, sono del nuovo e non nuovissimo ordinamento. Che faccio?». Risposta: «Guardi, il suo corso non esiste più. Se vuole segua pure ma ai fini dell’esame le servirà a poco». Bene, grazie. Laura si alza e se ne va. Con lei altri 4 studenti. In classe rimangono in 3. «L’ordinamento è cambiato a settembre e ora gli iscritti dell’anno prima sono fritti. Secondo loro dobbiamo studiare da otto crediti e poi ce ne convalidano solo 3. Altrimenti, dobbiamo fare gli esami da non frequentanti. Studiare soli quindi». O ti adegui alle regole inaugurate a settembre o t’attacchi.
La burocrazia porta spesso a situazioni paradossali. «A lezione di storia degli Usa – spiega – eravamo tutti da 6 crediti ma il professore ha dovuto seguire il programma per quelli da 8. Per chi l’ha fatto il corso non si sa». Ma tant’è. «Ci ho messo una settimana solo a capire quali fossero i corsi accessibili. Con il nuovissimo ordinamento tutti gli esami hanno cambiato nome. “Economia internazionale avanzata” è diventata “economia dell’integrazione europea”, “geopolitica” è ora “studi strategici”». Maledetta burocrazia. «Il passaggio da un corso all’altro, avrei potuto farlo ad ottobre. Peccato che prima che lo scoprissi (ero all’estero in stage) l’avevano già chiuso».
Ore 13,05. Il tempo stringe. «Sto tentando di calcolare quanto ci metterò dalla facoltà alla segreteria di via Ostiense. Non ho mezzi», dice. Teme di non fare in tempo, Laura, perché prima della segreteria deve passare all’Infolab per farsi riconoscere i crediti formativi ottenuti con il tirocinio che ha fatto al Parlamento europeo. «Questa è bella – racconta ridendo – sul sito di scienze politiche c’è scritto grande come una casa che per farsi riconoscere le attività esterne, “le procedure e i moduli sono da inviare esclusivamente online”. Peccato che il sistema non funzioni. Volevano semplificare e non ci sono riusciti. Mi tocca andarci di persona». Senza contare che lo stage «l’ho trovato da sola e poi in Italia, al contrario degli altri paesi europei, le lezioni non ti aspettano. Voglio dire, non c’è un periodo preposto al tirocinio. Quindi ti trovi a dover fare le due cose insieme». Non solo. «Quando l’eurodeputato francese ha accettato la mia candidatura ho dovuto mandare i moduli di convenzione stage e il progetto formativo. In teoria questo è un lavoro che dovrebbero fare gli addetti dell’ufficio competente di Romatre. Invece, ho dovuto farlo io perché in quell’ufficio (che dovrebbe coprire gli stage di 40mila ragazzi ed è aperto al pubblico solo una volta a settimana) non ce n’è uno che sappia parlare francese. Possibile?».
Ore 13,30. Laura fa la fila in segreteria. Siamo al numero 64. Bene, c’è speranza. Mancano due numeri. Tocca a lei. Richiesta: «Salve, ho bisogno del diploma di laurea triennale e del libretto, ho portato le fototessere». Risposta: «Deve tornare, non sono pronti». Poco male. Tanto val tenersi lo statino. Ore 14. Panino, caffè e mezza sigaretta. «No, non studio in biblioteca. Oggi è venerdì, chiude alle 15». Alle 15? «Sì, e non è che gli altri giorni vada meglio», scherza Laura. Di solito infatti chiude alle 17. «Studio in treno, meglio».
Laura è una dei 10.400 fuori sede di Romatre. Facciamo qualche conto. Guadagna 550 euro al mese facendo la baby sitter (prende 9,50 euro l’ora per 5 ore circa 3 volte a settimana) ma in un anno ne ha spesi 547,91 per la tassa regionale, 500 per la prima rata e 47,91 euro, per la seconda. Non le è andata male considerando che la sua collega (anzi, i genitori della sua collega) hanno un reddito di 24 mila euro (2mila euro al mese per 5 persone) e pagano 787 euro (tassa regionale), 500 di prima rata (fissa) e 287 per la seconda. «La cosa più strana è che uno che ha 6000 euro di reddito paga circa 1500 euro l’anno, mentre uno che ne guadagna 24mila sborsa solo qualche centinaio d’euro in più». A Laura hanno fatto anche un altro scherzetto. «Mi sono laureata a marzo 2010 e mi sono iscritta in specialistica ad aprile. Fino a settembre sono solo 5 mesi ma ho dovuto pagare le tasse come se mi stessi iscrivendo ad un anno intero. In più, dato che grazie a questo giochetto ora risulto iscritta al secondo anno, tra qualche mese sarò ingiustamente ma ufficialmente classificata come “fuori corso”». Portafoglio quasi vuoto, qualche chilometro su e giù tra un ufficio e l’altro, un libretto “missing” da mesi, una biblioteca chiusa e un corso “fantasma” dopo, Laura torna a casa. A Frascati. «Fare l’università come si deve, è come lavorare. Quasi quasi mollo tutto. Che poi, scusa, l’ha detto anche la Gelmini. La laurea a che serve?». E questa è un’altra storia. (1 – continua)