Uno dei maggiori e più stimati gestori di obbligazioni al mondo – l’impresa californiana Pimco – ha movimentato con forza il proprio portafoglio. Ha venduto i titoli di stato statunitensi (linea blu) fino ad annullarne la presenza nei portafogli ed ha accresciuto l’investimento in liquidità (linea verde tratteggiata).
Se nel prosimo futuro i prezzi delle obbligazioni statunitensi flettessero, questa scelta sarebbe il segno di un grande acume. Se, invece, i prezzi non flettessero, questa scelta metterebbe in difficoltà Pimco, perchè i suoi clienti le pagherebbero comunque una commissione di gestione positiva a fronte di un rendimento degli investimenti quasi a zero, dal momento che il rendimento degli strumenti di liquidità è pressochè nullo.
Una scelta come questa ha all’origine un giudizio negativo sul debito pubblico degli Stati Uniti. I rendimenti del debito pubblico statunitense sono troppo bassi anche rispetto alla modesta inflazione attesa, e gli acquisti della banca centrale sono stati dalla seconda metà dello scorso anno molto elevati. Venendo meno – secondo l’annuncio di Ben Bernanke – gli acquisti della Federal Reserve da giugno prossimo, sorge il dubbio che i privati non comprerebbero il debito pubblico ai prezzi correnti. O meglio, che lo comprerebbero, ma solo con rendimenti maggiori (ossia a prezzi inferiori).
Hanno ragione o hanno torto alla Pimco? Il debito pubblico degli Stati Uniti gode di un qualche «trattamento di favore»? La risposta è sì. Si dispongano i paesi sviluppati secondo i fondamentali (deficit pubblico, debito pubblico, saldo della bilancia con l’estero, quota di obbligazioni detenuta dall’estero) e secondo i giudizi del mercato (premio richiesto per assicurarsi dall’insolvenza, giudizi delle società di rating). Gli Stati Uniti hanno un debito pubblico messo male quanto a fondamentali (si classificano appena dietro la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo…) e messo bene quanto a giudizi di mercato (solo l’Olanda e la Finlandia sono messe meglio).
La casa di rating Standard & Poor’s aveva dichiarato ad aprile che, se la dinamica dei conti pubblici degli Stati Uniti non sarà messa sotto controllo nei primi mesi del 2013 – si noti la sottigliezza: dopo le elezioni presidenziali, che è come dire che non ci si attende nulla di buono prima – potrebbe ridurre lo status del debito pubblico statunitense, che oggi ha il voto massimo. I prezzi delle obbligazioni non si sono mossi né il giorno della dichiarazione né nei giorni successivi, nonostante questa dichiarazione abbia il suo peso.
Una spiegazione della loro immobilità è che il debito statunitense, per quanto possa essere messo male, resta l’architrave dei mercati finanziari. Prima di abbandonare l’architrave – con tutte le conseguenze del caso – i mercati finanziari faranno di tutto per credere che i conti statunitensi siano risanabili. Perciò, se continuano a credere che i conti siano risanabili, i prezzi delle obbligazioni pubbliche statunitensi resteranno dove sono, e Pimco avrà sbagliato la propria scelta. Altrimenti avrà avuto ragione.
Le obbligazioni pagano una cedola che è fissa (poniamo di tre dollari). Se i prezzi flettono da 100 dollari a 90, il rendimento sale dal 3% (3/100) al 3,3% (3/90). A quel punto, ricomprando le obbligazioni vendute in precedenza, si ottiene un rendimento maggiore. Non solo, ma si sono guadagnati 10 dollari sul prezzo (100-90), che possono essere reivestiti al 3,3%.
*Direttore di [email protected]