Il Kosovo insegna, facciamo la pace peggio della guerra

Il Kosovo insegna, facciamo la pace peggio della guerra

BRUXELLES – Mentre l’Europa si occupa di Libia, Nord Africa, flussi migratori e quant’altro, chi si ricorda più del Kosovo, e soprattutto, della maggiore missione civile dell’Ue, Eulex? Ben pochi, a dire il vero, eppure quella missione, che prese il posto di quella Onu (Unmik) alla fine del 2008, era considerata un eccezionale banco di prova per l’azione esterna dell’Unione europea. Mica facile, il compito, costituire il sistema giudiziario e di polizia del Kosovo, le sue dogane, perseguire crimini spesso orrendi. Il tutto con un costo annuo di 165 milioni di euro, 1.700 funzionari internazionali più 1.100 locali.

Ebbene un commento sul Guardian di Andrea Capussela (fino a fine marzo scorso direttore del dipartimento Affari economici e fiscali dell’International Civilian Office in Kosovo), ha fatto scalpore, almeno nei grigi corridoi delle istituzioni comunitarie a Bruxelles. Capussela denuncia gli scarsi risultati e la bassa professionalità della missione. La denuncia ha suscitato irritazioni, ma basta fare un po’ di ricerca per capire che la situazione è tutt’altro che esaltante, e di critiche anche pesanti ce ne sono state non poche. «La componente di polizia di Eulex – si legge in un cablo dell’ambasciata Usa a Pristina dell’8 aprile 2009 – è rimasta ampiamente invisibile nelle operazioni quotidiane». «Eulex – recita un rapporto della rinomata fondazione berlinese Friedrich Ebert Stiftung (che fa capo ai socialdemocratici tedeschi) – nel ruolo di “guardiano della democrazia e dello stato di diritto” ha ottenuto solo modesti risultati nei primi sei mesi. Un esame più attento degli obiettivi, del mandato legale e delle attività della nuova missione porta alla conclusione, piuttosto deprimente, che si continua a seguire la politica precedente, fallita, dell’Unmik».

Roba di quasi due anni fa, si dirà. Peccato che ancora nel novembre del 2010, l’Istituto olandese per le relazioni internazionali Clingendael, arriva a conclusioni molto simili, lamentando «mancanza di coordinamento interno», «rigidità del personale internazionale». Nello studio si lamentano questioni strutturali, come la cronica carenza di personale, la missione opera «circa all’80%, mentre la componente giudiziaria a un anemico 60%». Le fonti citate dallo studio si dicono «pessimistiche che si possano mantenere simili cifre», a meno di non abbassare la qualità delle nuove “reclute”.

«In effetti – dicono fonti Ue a chi scrive – la missione soffre di una grave carenza di fondi». «Del resto», aggiungono, «a Eulex capita quello che succede a molte missioni “vecchie», gli Stati membri perdono interesse e calano le risorse». Non certo una bella prospettiva, non è un caso se i risultati sono così modesti e la missione non gode di buona fama in Kosovo. Ariana Qosaj-Mustafa, del Kipred (Instituti Kosovar për Kërkime dhe Zhvillime të Politikave), citata dalla Neue Zürcher Zeitung, lamenta che «l’apparato è troppo lento e macchinoso». E racconta il caso di Nazim Bllaca, ex membro dell’Uck (l’esercito di liberazione del Kosovo), che nel dicembre 2009 ha ammesso in pubblico, davanti alla stampa, di aver compiuto numerosi omicidi durante la guerra in Kosovo. «Per arrestarlo Eulex ci ha messo 48 ore – lamenta Qosaj-Mustafa – e dopo un anno ancora non era stata pronunciata una sentenza. Un segnale terribile per la popolazione, rafforza così l’impressione che Bllaca, che gode di relazioni con i vertici del governo, venga risparmiato per ragioni politiche».

Il punto, in effetti, è politico. «La strategia è chiara – confessa un diplomatico europeo – prima la stabilità, poi tutti gli altri elementi per la costituzione di una società». Non stupisce allora il clamoroso rapporto pubblicato alla fine del 2010 dal parlamentare svizzero liberaldemocratico Dick Marty, presidente della Commissione per gli affari legali dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, in cui si denuncia un fatto gravissimo: i servizi segreti di vari paesi occidentali sapevano che il premier kosovaro Hashim Thaçi sarebbe coinvolto nel cosiddetto “Gruppo di Drenica”, un’organizzazione criminale specializzata in assassinii, traffico di droga ma anche di organi da trapiantare. L’Occidente – è l’accusa di Marty – avrebbe taciuto avendo visto nel Pdk (il partito di Thaçi derivante dall’Uck) un fattore di stabilità.

«Eulex sta analizzando le accuse di Marty – ci dicono a Bruxelles – ma ci vogliono prove. Purtroppo quelle raccolte dai servizi non si possono usare per un procedimento giudiziario». Le stesse fonti Ue, comunque, snocciolano cifre per confutare che la missione stia facendo poco. Al marzo 2011, ci dicono, «sono in corso 73 indagini», tra chi è stato indagato e arrestato «figurano personalità di spicco, come l’ex ministro Fatmir Limaj (ex esponente dell’Uck e parlamentare a Pristina), il presidente della banca centrale Hashim Rexhepi, o un ex comandante dell’Uck (Gani Geci). «Il fatto è – conclude il diplomatico – che la giustizia ha i suoi tempi, mentre tutti vorrebbero una reazione immediata». Una spiegazione, forse, un po’ troppo semplice.

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