I francesi sono turbati. Non possono tollerare che Dominique Strauss Khan abbia subito un trattamento simile. È stata un’umiliazione nazionale vedere il capo del Fondo Monetario Internazionale ammanettato, obbligato a sedere su una panca tra criminali comuni, condotto con le catene ai piedi in un commissariato di polizia per l’esame del Dna, poi liberato su cauzione, confinato in un appartamento con il braccialetto elettronico attorno alle caviglie. L’ultimo schiaffo è giunto quando l’abitazione affittata dalla moglie, la star del giornalismo televisivo Anne Sinclair, la bella donna sul cui viso era stata modellato il busto marmoreo di “Marianna”, sia stata poi negata dai proprietari newyorchesi, quando hanno saputo che l’appartamento sarebbe stato occupato da un uomo imputato di violenza carnale.
Oltre la metà dei francesi pensa che sia stato un complotto ordito ai danni del leader destinato a battere Nicolas Sarkozy alle prossime elezioni e a salire all’Eliseo. Oltre la metà sostiene che, nonostante tutto, continuerebbe a votarlo. Elisabeth Guigou, ex ministro della giustizia, ha protestato contro le immagini che sono state diffuse dalla stampa: “brutali, violente, crudeli”. L’intellettuale Bernard Henry Levy ha spezzato una lancia in favore del suo amico Dominique giudicando “scandaloso” il trattamento che gli è stato riservato, e “strano” che una giovane e avvenente donna delle pulizie possa essersi introdotta da sola nella sua camera d’albergo, al contrario di quanto accade negli hotel newyorchesi di qualità, che usano mandare squadre di inservienti a ripulire le stanze.
È curioso che Bernard Levy sia stato a lungo intervistato, sulla Cnn, da Elliot Spitzer, ex governatore dello Stato di New York, avvocato di grido ed ex enfant prodige della politica americana. Nel 2008 Spitzer fu obbligato a dimettersi dalla carica di governatore per uno scandalo sessuale legato a un giro di prostitute di alto bordo. I giornali scrissero che il leader politico aveva usato fondi pubblici per prenotare stanze di albergo dove incontrava le sue costose amichette. Spitzer chiese scusa per le sue debolezze, ma negò di avere violato la legge, si dimise dalla carica e rinunciò alla politica e al sogno di salire alla Casa Bianca, una prospettiva che numerosi analisti avevano giudicato plausibile. Alla fine venne fuori che aveva ragione lui: nessun reato, solo parecchia esuberanza sessuale. Ora conduce un talk show alla Cnn.
Il caso Strauss-Khan è una riedizione del caso Spitzer su scala internazionale? Il 57% dei francesi ne è convinto e punta il dito contro il sistema giudiziario americano, giudicato troppo crudele, ingiusto, basato non sulla presunzione di innocenza, ma su quella di colpevolezza. Perché il New York Post ha titolato sadicamente “The Perv”, il pervertito, sopra l’immagine di Strauss Khan in manette? E perché il sindaco di New York, Michael Bloomberg, si è spinto a dire: «Certo, per lui è stato umiliante: ma se non vuoi che ti mettano le catene ai piedi, non commettere crimini».
D’altra parte proprio a New York è nata la politica della “Zero Tolerance” per opera di Rudy Giuliani, che la applicò prima come procuratore distrettuale, negli anni Ottanta, poi come sindaco, negli anni Novanta, ottenendo risultati strabilianti. Negli anni Ottanta i newyorchesi avevano paura a circolare per strada la sera, nel timore di incontrare un tagliagole, oggi la notte si spingono a portare il cane a passeggio a Central Park.
Sono stati risolti i problemi sociali alla base di una criminalità così diffusa? Niente affatto. È stata semplicemente trasferita in carcere un’intera generazione di devianti. Gli Stati Uniti sono il paese del mondo con la più vasta popolazione di detenuti rispetto alla popolazione: 2,2 milioni di persone sono attualmente in carcere. In 24 Stati americani è in vigore una legge (battezzata “three strikes and you are out”, tre colpi e sei fuori) per scoraggiare i piccoli delinquenti seriali: se commetti tre volte consecutive lo stesso reato (anche piccolo) sei punito con pene tra i 25 anni e l’ergastolo. Ci sono casi di persone che devono scontare oltre 25 anni per avere più volte falsificato una firma.
Questo desiderio di punizione si applica con identico rigore verso i poveri e verso i ricchi (ai quali resta comunque il vantaggio di poter pagare i migliori avvocati). L’opinione pubblica italiana è rimasta stupita che il fondatore di Parmalat, Calisto Tanzi (73 anni), abbia davvero varcato le soglie del carcere dopo che la Cassazione ha confermato una condanna a otto anni e un mese per avere ingannato gli azionisti. Al contrario, negli Stati Uniti nessuno si è stupito se il finanziere Bernard Madoff (anch’egli settantatreenne) sia stato condannato a 150 anni di carcere per avere truffato gli investitori che si erano affidati a lui.
James Whitman, professore alla Yale University ed esperto di sistemi giudiziari, ha scritto uno straordinario libro (Harsh Justice: Criminal Punishment and the Widening Divide Between America and Europe) nel quale sostiene che le crescenti differenze tra la cultura americana e quella europea (in particolare quella francese) hanno origini lontane.
Gli Stati Uniti sono nati da una ribellione contro le aristocrazie europee, hanno radici calviniste ed egualitarie e nella loro sete di punizione pensano sia giusto trattare tutti gli inquisiti e i condannati alla stregua delle classi sociali più basse.
In Francia storicamente è avvenuto il contrario. Lì oltre due secoli fa ai nobili erano riservati trattamenti di favore: per esempio, se ritenuti colpevoli di particolari nefandezze, venivano condannati al taglio della testa, una morte giudicata dignitosa. I delinquenti plebei erano puniti con un metodo ritenuto più degradante: l’impiccagione. Ma mentre nella cattolica Francia con il passare del tempo si è cercato di unificare verso l’alto il trattamento riservato agli imputati e ai condannati, negli Stati Uniti il livellamento è avvenuto verso il basso. In Francia, come nel resto d’Europa, si è diffuso il verbo ottimista di Cesare Beccaria che prevede la rieducazione. Negli Stati Uniti è prevalso il pessimismo di Thomas Hobbes, che ispira soluzioni punitive.
Quando si entra in un’aula di giustizia le differenze tra il sistema americano e quello francese (ed europeo) si fanno marcate. In Europa è generalmente proibito fotografare i cittadini in manette, in America è consentito. In Europa il rispetto della privacy prevale sul diritto all’informazione, in America accade il contrario: il primo emendamento alla Costituzione, che garantisce piena e assoluta libertà di informazione, prevale sui diritti individuali a proteggere la propria vita privata.
Così, mentre in Europa lo Stato difende i cittadini contro l’invadenza della stampa, negli Stati Uniti si preferisce difendere le persone dall’invadenza dello Stato.
Il sistema americano può sembrare crudele, e probabilmente lo è. Ma ha alcuni vantaggi. Se un politico inganna i cittadini violando la legge è automaticamente fuori dal sistema. Il sistema francese è certo più rispettoso dei diritti della persona. Ma è difficile dimenticare che quel Bernard Henry Levy che oggi difende Strauss Khan (adducendo sensazioni personali: “Lo conosco bene: non può averlo fatto”) è lo stesso che ieri ha difeso il regista Roman Polansky condannato per avere violentato una tredicenne negli Usa.
Negli Stati Uniti un potente che commette violenza su una donna è un criminale. Talvolta in Francia è semplicemente considerato un birichino. Gli Stati Uniti sono un paese crudele, ma continuano fare della lotta alle aristocrazie una bandiera. In Francia prevale il desiderio di perdonare, specie se sei un rampollo dell’aristocrazia al potere.