Nell’incertezza che regna sull’esito della rivolta in Libia e delle conseguenti operazioni militari, uno degli interrogativi maggiori riguarda la capacità del regime di approvvigionare truppe e mezzi, dal momento che, pur essendo il paese un esportatore netto di greggio, la sua capacità di raffinazione è inferiore al proprio fabbisogno e per di più ridotta a seguito della guerra in atto.
Tuttavia l’analisi comparata delle blacklist compilate da Onu, Unione Europea e Stati Uniti a latere delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (numeri 1970 del 26/2/2011 e 1973 del 17/3/2011) aiuta a rispondere a questa domanda, come ha ad esempio sottolineato in una sua inchiesta la Reuters, evidenziando la curiosa assenza nei documenti Onu e Ue, fra gli enti pubblici ed economici soggetti a sanzioni e restrizioni, della compagnia marittima libica Gnmtc.
Gnmtc (General National Maritime Transport Company) è infatti una compagnia armatoriale storica, attiva nel settore cisterniero (gestisce 24 moderne petroliere di vario tonnellaggio e portata, costruite quasi tutte in Giappone e Corea), nazionalizzata e legata alle attività della National Oil Company (Noc), a sua volta già finita in lista nera. O, più precisamente, in tutte le liste nere.
È infatti significativo ripercorrere l’iter compositivo di tali liste. Il primo atto al riguardo rimanda al paragrafo 24 della risoluzione 1970, che stabilisce la creazione all’interno del Consiglio di Sicurezza, di un Comitato deputato all’applicazione, fra l’altro, delle norme previste dal paragrafo 17 in materia di restrizioni economiche e all’individuazione di soggetti ed enti, ulteriori a quelli indicati in appendice (sei membri della famiglia Gheddafi), da sottoporre a sanzioni economiche.
Lo stesso paragrafo fissava una data di 30 giorni per il primo report del Comitato, mentre quello successivo stabiliva 120 giorni (scadranno il 26 giugno) per gli stati membri dell’Onu per riportare al Comitato le iniziative intraprese in applicazione delle misure d’embargo. Il 25 marzo, in ossequio alla risoluzione 1970 e alle integrazioni della 1973 nel frattempo intervenute, il Comitato allungava la lista di funzionari del regime e famigliari del Rais sottoposti a restrizioni economiche e di circolazione, aggiungendovi anche cinque enti soggetti al cosiddetto assets freeze: Central Bank of Libya, Libyan Investment Authority, Libyan Foreign Bank, Libyan Africa Investment Portfolio, Libyan National Oil Corporation.
Anche l’Ue, attraverso il Consiglio dell’Unione, ha adottato nel frattempo provvedimenti analoghi (le decisioni 137 e 178 e le annesse regole 204 e 288), l’ultimo dei quali, risalente al 24 marzo scorso, elenca 15 soggetti economici (compresi quelli indicati dall’Onu) soggetti a sanzioni, fra cui molte banche e compagnie petrolifere controllate direttamente o indirettamente dalla famiglia Gheddafi.
Una lista ricalcata in parte sui provvedimenti presi intanto dagli Stati Uniti a partire dalle decisioni prese direttamente dalla Casa Bianca il 25 febbraio e via via integrate dal Dipartimento del Tesoro, con la non irrilevante eccezione di quanto stabilito proprio dal Dipartimento del Tesoro l’11 marzo, quando designava ufficialmente Hannibal Gheddafi come «head of the General Maritime Transport Company of Libya», sancendo ipso facto a danno di Gnmtc l’ostracismo da parte di cittadini, aziende e enti statunitensi.
Oltre a ciò, se non bastassero a dimostrare i rapporti fra la compagnia marittima e i Gheddafi neppure i rumor del settore marittimo e le notizie relative reperibili negli archivi delle maggiori testate internazionali specializzate, esiste anche l’ormai immancabile cablogramma Wikileaks al riguardo, proveniente dall’ambasciata statunitense di Tripoli e pubblicato, fra gli altri, dal Telegraph a fine gennaio. Piuttosto eloquente il titolo: Hannibal Goes To Sea.
Come è possibile quindi che Onu e Ue non abbiano (finora) inserito nelle rispettive black list la principale compagnia armatoriale statale libica, specializzata nella compravendita e nel trasporto di prodotti petroliferi grezzi e raffinati e direttamente legata ai Gheddafi, non potendo peraltro non sapere che il blocco navale predisposto sarebbe stato aggirabile via terra, come evidenziato da Reuters?
A pensar male si fa peccato, ma occorre forse ricordare ai non addetti ai lavori che Gnmtc è la stessa compagnia che, sorprendendo il mondo dello shipping per l’inusuale incursione in un nuovo settore, la scorsa estate piazzò ai cantieri Stx France di Saint-Nazaire, vicino Nantes, un ordine da oltre 500 milioni di euro per una nave da crociera da 139.400 tonnellate di stazza e 3.500 passeggeri. Alla firma peraltro presenziò, guarda caso, Hannibal Gheddafi (come dimostra la foto qui pubblicata che lo ritrae con Jacques Hardelay, direttore generale di Stx France), definito allora da Ali M. Belhag, presidente di Gnmtc, come «primo consulente del board della compagnia».
Giova aggiungere poi che Stx France, oltre ad essere lo storico fornitore di Msc Crociere, è l’orgoglio della navalmeccanica transalpina: per mantenere un piede nell’ex Chantiers de l’Atlantique (circa il 33%), oggi di fatto controllato dai coreani di Stx, lo Stato francese investì tre anni fa circa 110 milioni di euro. E nei mesi scorsi, a crisi ormai galoppante anche nella cantieristica navale europea, in deficit di commesse, si spese addirittura Nicolas Sarkozy in persona per tentare di convincere (con scarso successo) Gianluigi Aponte (Msc) ad ordinare l’ennesima nave e dare così un po’ di ossigeno all’azienda.
Tornando all’ordine libico ai cantieri francesi, probabilmente determinante per la sorte degli stessi, Gnmtc, che pagò, secondo prassi, il 10% del valore della commessa all’atto dell’ordine, dovrebbe entro il 15 maggio versare la seconda tranche (25%) del prezzo della nave, i cui lavori, intanto, sono cominciati e ben avviati.
E mentre Msc (e forse altre compagnie occidentali) rimangono alla finestra, pronte ad approfittare dell’eventuale default dei libici e della conseguente svendita cui Stx sarebbe costretta, Hardelay, alle comprensibili preoccupazioni della stampa francese, ha risposto che il contratto resta valido e il cliente interessato. E, per quanto in una posizione traballante, ha ragione, perché, se la compagnia libica fosse stata inserita nelle black list internazionali oltre che in quella Usa, la ricezione del corposo pagamento passerebbe da difficile (è infatti possibile che parte delle risorse finanziarie di Gnmtc siano gestite da banche sottoposte a restrizioni, ma è presumibile che i vertici della compagnia siano interessati a cercare di pagare in vista del dopo-guerra, quale che sia) a impossibile (perché anche gli eventuali depositi esteri della compagnia sarebbero stati bloccati). Una differenza sufficiente forse a giustificare la ‘piccola’ svista di Ue e Consiglio di Sicurezza Onu.