La sezione centrale è vuota, così come le tre file di posti di ciascuna tribuna che accerchia il palco. Tanto che, per celare le assenze, hanno coperto con un telone nero le poltroncine deserte. Siamo al Palasharp di Milano: 8.500 posti a sedere, circa cinquemila militanti del Pdl a riempirli. Gli auspici del premier Berlusconi dovevano essere di certo più rosei di ciò che si sono rivelati. Il Cavaliere giunge qui intorno alle cinque (la convention si apre alle tre del pomeriggio) per spingere lontano l’ipotesi di un ballottaggio, alle amministrative di Milano, tra il suo candidato Letizia Moratti e lo sfidante Pd Giuliano Pisapia. L’inattesa lunghezza del suo intervento – un’ora secca: dalle 17 e 15 alle 18 e 15 – tradisce, insieme alla scarsa affluenza del popolo militante, i timori che il fortino elettorale di Milano si mostri più espugnabile del previsto. Anche la metro, per raggiungere il palazzetto, è vuota, ci dice un uomo Pdl che lavora in Regione.
Il discorso del premier è stanco e pare l’orologio si sia spostato indietro di circa un decennio: promesse di riforme già spese, crociate contro le toghe rosse, richiami al terrore comunista, all’invidia sociale, all’Ici, alle tasse, a una sinistra che – pur nel suo immobilismo – non è più quella evocata. Perfino l’immancabile barzelletta si trasforma in una battuta meno graffiante e salace del consueto. Eppure, sul palco, molte teste coronate della galassia Pdl sono accanto al sindaco uscente, a spingere la macchina della campagna elettorale sull’ultima curva. Da Bondi alla Gelmini, da Formigoni a Podestà, dalla Brambilla a Romani, fino alla Zanicchi che intona “O mia bela Madunina” col ministro la Russa. Mancano, questo si nota, Roberto Lassini e Marco Clemente: i due candidati di centro-destra, travolti, nelle ultime settimane da polemiche schizzate su video e carta. L’uno per la faccenda dei cartelloni anti pm (un uomo pdl, che non vuole essere citato, confida che fu il coordinatore regionale Mantovani a commissionare l’operazione, durante un incontro a porte chiuse con tutti i candidati pidiellini); l’altro per le intercettazioni in cui parla con esponenti della ‘ndrangheta trapiantata in Lombardia, in merito a un presunto giro d’affari legato ai night nell’ex capitale morale. Vicende su cui la Moratti risponde con la serafica attesa di chi si dispone all’esito delle indagini della magistratura.
Intanto, sul palco, il sindaco uscente balla scatenata in una cornice inconsueta, a dir la verità, dentro il suo tailleur chiaro, sulle note di “W la mamma” di Bennato (in omaggio alla giornata di domani, festa della mamma). Più tardi riproporrà, in sintesi, il fascicolo già distribuito – a sue spese – sui cento progetti realizzati in città durante la sua amministrazione. Il pubblico risponde con bandiere, applausi, cori già collaudati, fischi di disapprovazione quando un imbucato di sinistra contesta il discorso del premier (e viene allontanato dai “Mantovani boys” con maniere non propriamente urbane).
L’età media della militanza è indubbiamente alta. La provenienza è la vera notizia. Qui di milanesi ce ne sono pochi. Sono venuti, con qualche pullman, perlopiù per vedere il loro premier, e non il sindaco uscente. Gli striscioni e le chiacchiere con loro ne rivelano l’origine geografica: Brescia, Como, Bergamo, Mantova, Vercelli, la Liguria perfino. Qualcuno che risiede a Milano, però, c’è. «Perché vota la Moratti?», chiediamo. Le risposte sono simili: «Perché Berlusconi è carismatico e si presenta come capolista», «Perché ha rifatto le strade, costruito le piste ciclabili, aumentato la sicurezza». Stella D’Antonio, oltre la cinquantina, chioma corvina e molto trucco, dentro una toga di raso regge due cartelli: sul primo è incollata una pagina del Giornale contro il pm Bocassini, sull’altra la lettera che la Moratti le inviò quando rimase vedova: «Lei e Silvio sono due brave persone. Quando è morto mio marito mi hanno aiutano molto. Sono loro l’unica speranza rimasta ai giovani, in questo paese». Scusi, in che senso? «Sono un’affiliata. Non posso parlare. Sa, io rischio a stare qui perché mi espongo». Più tardi la troviamo seduta tra le prime file che agita i due cartelli davanti al premier che parla.
Lucia e Laura, sui quaranta, confidano che la Moratti le ha deluse, e non la voteranno: «Non lo scriva, ma votiamo Palmeri. Ci aspettavamo di più da una donna. La città non è rappresentativa come dovrebbe. Anche sull’Expo avevamo altre attese: sa, io lavoro in Regione…». Dalle tribune penzolano striscioni come «Silvio, credici!», «Con Silvio e Letizia Milano è più forte!», «Di Silvio ce n’è uno!», «Silvio siamo con te!». Su ciascuna poltroncina anche la brochure tradisce una maggiore attenzione al presidente che non all’operato del sindaco uscente. Tre pagine di sintesi dei punti toccati dal «governo del fare» e un facsimile della scheda elettorale dove si prescrive come votare – capolista – il premier. Su Letizia Moratti, e la sua amministrazione, nessuna informazione, né sollecitazione. Un’animalista ci dice che la rivota perché «Ha fatto tanto sugli animali. E’ grazie a lei che hanno aperto il primo canile municipale al Forlanini. Pisapia? Non lo prendo neppure in considerazione».
Due residenti di Porta Venezia mi mostrano delle foto, scattate da loro, sulla condizione di degrado dell’area del Lazzaretto: «E’ un incubo. Noi abitiamo lì vicino. Ci vengono gli extracomunitari a fare i loro bisogni e gettare le cicche delle sigarette. Hanno distrutto le aiuole e il giardino. Ormai, corso Buenos Aires, per noi è come la striscia di Gaza. Di qua il Libano, di là Israele». Quando obiettiamo che allora l’azione del sindaco, in tal senso, non deve essersi rivelata troppo efficace rispondono che «ha avuto troppo poco tempo. Via Padova l’ha ripulita. Suggeriremmo dei gazebo mobili che contengano i servizi igienici, in modo che non si distrugga il verde e i clandestini possano andare lì. La votiamo perché c’è ancora tanto da fare». Mentre i giovani della curva, su in tribuna, gridano: «Chi non salta comunista è!», agitando le bandiere, una militante chiede di avvicinarsi. Racconta quanto si è speso il sindaco per gli anziani e i centri sociali. Si chiama Francesca Cunsolo e coordina l’attività di alcune di queste strutture: circolo di via Mozart e via Adriano in particolare: «Ha trovato troppi debiti, nella amministrazione precedente, e quando si presentò al primo turno non volevo votarla perché era donna e la consideravo ‘molliccia’. Invece ha dimostrato di avere le palle». Scusi, ma lil sindaco precedente non era del Pdl? «Beh, che c’entra, guardi che io ho ballato con Formigoni». Non cogliamo il nesso, ma procediamo.
Teresa, polacca, 52 anni, a Milano da 35 ci dice che conosce bene gli esiti tragici del regime comunista: per questo voterà la Moratti: «Il comunismo non esiste più, per fortuna. Ha portato soltanto miseria. Pisapia e il centro-sinistra devono cambiare mentalità. Sono morti. Guardano ancora al passato e non danno certezze per il futuro. Io credo nell’Expo e nelle opportunità di occupazione che porterà». Ma non si è perso un po’ troppo tempo? «Ma no! In fondo manca tanto, ancora quattro anni: ce la faranno». «Io sono sempre stato socialista», ci dice un altro militante. «Poi sono passato al Pdl. Quando ho avuto un serio problema di cuore, anni fa, e ho dovuto operarmi, la sinistra non mi ha aiutato. Abito in viale Certosa e nel mio stabile li conosco bene i comunisti: sono tutti villani, maleducati e non aggiungo di peggio. Io faccio campagna nel mio quartiere per i candidati pidiellini». Ci interrompe l’inno «Meno male che Silvio c’è», accompagnato da una ola della tribuna centrale. Il racconto prosegue: «Eppoi voto la Moratti perché ha costruito palazzi, ha sistemato la stazione centrale e ha messo nuove metropolitane».
Il premier che sarà di nuovo a Milano probabilmente, a metà settimana, per il rush finale della campagna, sollecita la militanza a uscire dal palazzetto, una volta concluso l’incontro, per contattare conoscenti, amici, parenti e – soprattutto – ex fidanzati ed ex morose. Lo scopo è convincerli a votare: «Si deve fare di tutto per far vincere Letizia al primo turno». Continua a battere sull’Ici (sebbene non competa ai comuni, ma al governo) e sul terrore comunista del rincaro delle tasse. Paventa lo scenario di una sinistra che riapra le frontiere per fare entrare i clandestini e farli poi votare per loro (ma se sono clandestini, come possono votare?, ci chiediamo) e ritorna sul tema delle intercettazioni. Di Milano e del sindaco parla poco, con poco entusiasmo e in finale di oratoria.
Si ha la netta impressione che questo intervento sia più per constatare la temperatura di consensi di cui gode il suo governo, che non quella che si alza attorno a Milano e al primo cittadino uscente. Sebbene dal laboratorio della città si possa maturare una previsione nazionale. Poi accade una strana cosa: una decina di minuti prima che il Cav. concluda il suo lungo discorso qualche tribuna si svuota. I militanti si alzano e lasciano il palazzetto. Non pare un buon segnale, ma il voto è assai vicino. Saranno le urne, presto, a rispondere.