Ancora una volta, una colonna di fumo sale dal compound di Muammar Gheddafi, a Tripoli, nel quartiere di Bab al-Aziziya. Gli aerei della Nato hanno compiuto un altro raid all’alba, prima delle cinque, bombardando la capitale. Secondo quanto riportato dalle autorità libiche non ci sarebbero state vittime. Solo, le bombe avrebbero distrutto l’hotel Wenzrik, ormai un edificio vuoto situato a pochi passi dalle sedi della tv e radio del regime.
«Gheddafi ormai ha le ore contate», spiega il primo ministro David Cameron, dopo aver incontrato ieri il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che, da Madrid, rincara la dose e loda l’intervento in Libia, che «ha impedito un massacro, salvando innumerevoli vite». Qualcuno, però, non è d’accordo: Russia e Cina esprimono la loro preoccupazione nei confronti di quella che sarebbe «un’interpretazione arbitraria, da parte della Nato, delle risoluzioni Onu 1970 e 1973».
In sostanza, l’intervento militare non si limita alla protezione dei civili, come vorrebbe la risoluzione, ma mira alla caduta del regime di Gheddafi. Il comunicato è uscito dopo che Mikhail Margelov, inviato speciale di Medvedev in Libia, ha incontrato a Tripoli il governo di Muammar Gheddafi, con l’obiettivo di trovare una soluzione al conflitto.
Si pensa al dopo, in Libia. Si cercano vie d’uscita o almeno la fine della guerra e ognuno degli attori in campo cerca di trarre il massimo, sia sul piano del prestigio nazionale che su quello, ben più solido, dei vantaggi economici. Ma c’è un problema. Nonostante i proclami, la guerra a Gheddafi va avanti più a lungo di quanto si pensasse. Il raìs resiste. Un logoramento che sta creando difficoltà politiche nei paesi impegnati nell’attacco.
Negli Stati Uniti, un gruppo bipartisan di deputati del Congresso ha fatto denuncia formale contro il presidente Barack Obama, depositandola in un tribunale di Washington. Secondo i deputati, Obama avrebbe violato la “War Powers Resolution”, legge del 1973, che definisce le linee d’azione del presidente Usa come comandante in capo delle forze armate. Il presidente non avrebbe chiesto il permesso del congresso per cominciare l’attacco in Libia. Secondo la legge, operazioni militari del genere possono durare solo 90 giorni, entro i quali deve esserci il totale ritiro delle truppe. Cosa che, in questo caso, non sta succedendo. Si dovrebbe passare a una formale dichiarazione di guerra, che, però, deve essere decisa dal Congresso.
Obama respinge le accuse, ma è il segnale di un crescente malcontento per una guerra che dura e, soprattutto, costa troppo. Secondo le stime, si sarebbero gi spesi 716 milioni di dollari. E si prevede di spenderne, in tutto, più di un miliardo.
In Italia, gli attacchi al governo piovono da tutte le parti. L’ex-primo ministro Romano Prodi, di fronte alla «politica ondivaga» mantenuta da Berlusconi, ha fosche previsioni: «l’Italia perderà peso in Libia e in tutto il Nord Africa», dichiara da Washington, dove presiede alla seconda conferenza internazionale “Africa: 53 Countries One Union”. E, a confermare le parole del Professore, ci pensa Saif Gheddafi, figlio del Colonnello.
In un’intervista al Corriere della Sera dichiara che lo stallo si può risolvere in tre mesi, guidando il Paese verso nuove elezioni. A garanzia, tutti gli osservatori internazionali possibili, perché «siamo sicuri di vincere. Gheddafi è ancora molto amato». Aggiunge che non sarà una restaurazione della Libia che c’era prima della rivolta e «che molte cose cambieranno», tra le quali il rapporto con «Berlusconi e Frattini: si sono comportati in modo abominevole con noi. Se il vostro premier è in crisi, non possiamo che gioirne».
Ma per risolvere tutto, basta poco: «la Libia terrà un atteggiamento diverso di fronte a un’Italia senza Berlusconi». Questo rassicura chi, come Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni, temeva per il futuro del sistema energetico del Paese. Ma è un altra campana da morto per il premier. Saif dimostra di apprezzare la Lega, che ha sempre criticato la scelta della guerra. E che, in queste ore, ha in mano il futuro dell’esecutivo.
Intanto il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, continua a smarcarsi: «l’attacco alla Libia è stato un errore che va contro i nostri interessi nazionali» dice. «Le altre potenze avevano chiari interessi, nella guerra. E l’Italia è caduta nella trappola, o non ha potuto evitarlo». Il ministro degli esteri Franco Frattini cerca di riparare: a Roma si terrà l’incontro dei rappresentanti di tutte le tribù libiche, Il Consiglio nazionale di transizione e Ong. «Questo è il primo passo per la pace», ha detto il ministro. Sarà.
ll disordine provocato dalla guerra ha effetti di lunga gittata: Sarkozy, per il momento, è alle prese con le speculazioni sulle commodities, sulle quali la guerra ha inciso. Un prezzo da pagare in più. E invoca una nuova regolamentazione. Insomma, se anche i raid aerei continuano, sembra che il Colonnello sia stato dato per morto troppo presto: la situazione è sempre più complessa. Come ha detto Cameron, «Gheddafi ha le ore contate». Forse, però, non solo lui.