È noto il racconto del dono del pane che Gesù fa sul lago di Tiberiade, dove la gente è saziata, ne avanzano pure dodici ceste piene e Gesù dice di raccogliere questo sovrappiù. Gesù spiega che l’importante non è il pane, è quel sovrappiù che è avanzato dalla sazietà, e che consiste nel modo di vivere ogni pane: il pane che Gesù vuol dare è quel pane che mette in comunione col Padre e in comunione con i fratelli.
Invece, la gente lo voleva fare re semplicemente per mangiare pane. È proprio sul pane, che è simbolo della vita, che l’uomo è sempre tentato, e pensa che la vita sia avere dei beni e accumularli. Invece la vita è un’altra cosa: la vita è la relazione d’amore col Padre che la dona e coi fratelli che sono figli come te. Questa è già vita eterna, è la vita di Dio, ed è quella che Gesù vuol comunicare.
Domenica del Corpus Domini
Giovanni 6, 51-58 (leggi qui il testo integrale)
Nei versetti precedenti Gesù dice: «Nessuno può venire a me se il Padre che mi inviò non lo attira». Cioè: nel cuore di ogni uomo c’è l’attrazione al Figlio, esercitata dal Padre. Cosa significa? Perché uno crede in Gesù Figlio di Dio? Non perché qualcuno lo abbia persuaso con argomenti particolari. Ma per un fatto molto semplice: che tutti siamo figli, nessuno s’è fatto da sé. La struttura fondamentale dell’uomo è essere figlio. E cosa vuole il figlio dal padre? Vuole quella cosa che non ottiene mai come lui vorrebbe, perché anche il figlio è un segno, un sacramento del Padre celeste. Vuole, cioè, essere amato incondizionatamente dal padre. Questo è scritto nel cuore di ogni uomo ed è questo desiderio dell’amore del padre che ti attira al Figlio e ti fa essere figlio. Da questa attrazione interiore alla verità, che c’è nel cuore di ogni uomo, si capisce la fede cristiana in Gesù.
La non conoscenza di questo ci fa vivere una vita inautentica: una vita che non prende, non benedice, non condivide, una vita che possiede e distrugge e dà la morte. Quindi, è questione di vita o di morte seguire questa attrazione interna del Padre. Ed è un’attrazione che rende tutti discepoli di Dio, ammaestrati direttamente.
Il cuore di ogni uomo ha un desiderio di amore assoluto e di accettazione che diventa la sua guida interiore: chi la segue diventa figlio di Dio. Oppure aderisce quando sente la Parola di verità del vangelo, a meno che la nostra testimonianza sia così contraria che la screditiamo. La fede infatti si trasmette attraverso la testimonianza. Testimoniando l’amore del Padre, amando il fratello, facciamo sì che l’altro dica: questa è una cosa vera, l’ho sempre voluta anch’io, finalmente la vedo!
L’Eucaristia (dal greco eucharisto, “rendo grazie”) è proprio la realizzazione di questa attrazione interiore verso il Figlio che ci fa pienamente figli e ci fa vivere ora la vita eterna. Il Padre che nessuno ha mai visto dove lo vediamo? Lo vediamo nel Figlio che mi ama come fratello, è lui che mi testimonia la paternità di Dio.
Io-Sono il pane vivente che è sceso dal cielo, se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
Io-Sono richiama il nome di Dio liberatore dell’Esodo, questo pane è la liberazione dell’uomo dalla schiavitù. Cosa fa il pane? Se la vita ci viene prima dal cordone ombelicale e poi dal latte, in seguito viene dal masticare. Il cibo ci alimenta, Gesù afferma di essere la vita, ciò che mantiene la vita. E il pane va mangiato. Questo discorso poteva essere comprensibile anche agli ascoltatori ebrei di Gesù, perché sapevano che la vita dell’uomo non è semplicemente il pane, ma ogni Parola che esce dalla bocca di Dio, che la Parola va mangiata. Sanno che il rotolo della Legge va divorato.
«Il pane che io darò»: è un preannuncio della passione. Che cosa ha fatto Gesù nell’ultima cena? Prese il pane e disse: questo è il mio corpo dato per voi. L’evangelista Giovanni lo dice con altre parole che sono poi la stessa cosa: invece di dire “mio corpo”, dice: “la mia carne”. Carn indica l’uomo nella sua fragilità e debolezza, perché è proprio la debolezza di Dio che ci salva, di Dio che assume la nostra condizione.
«Per la vita del mondo»: non solo per voi che siete qui presenti, ma per tutto il mondo che voi qui rappresentate. Cioè, il pane che Gesù dà è perché noi viviamo. Il suo corpo che ci dà è perché noi viviamo del suo corpo. Cosa vuol dire questo? Gesù è la prima persona che ha vissuto nel corpo la realtà di Figlio del Padre e di fratello di tutti. E sulla croce la realizza pienamente: tutto è compiuto; è compiuta la sua realtà di Figlio, perché? Perché ritorna al Padre e si dona totalmente ai fratelli. Allora la carne di Gesù è proprio la visibilità concreta di Dio. Come vive Dio? Come vive un corpo animato dall’amore? Vive amando il Padre e amando i fratelli. Gesù vuol comunicare la sua essenza di Figlio, e la nostra essenza di figli. È dunque il senso di tutta la sua vita che si celebra nell’Eucaristia. Ma come si fa a partecipare?
Supponete che il Papa stia celebrando una messa all’aperto in un grande prato con la folla, e che si sollevi un grande vento per cui le ostie volino via. Se ci fosse un bue lontano che, mangiando l’erba, mangia pure un’ostia, fa la comunione secondo voi? Secondo me, sì: fa la comunione come tanti cristiani, che non sanno quello che fanno! Per cui le parole che leggiamo adesso, vogliono farci capire che cosa facciamo celebrando l’Eucaristia, che cosa vuol dire masticare questo pane, assimilarlo.
Allora i giudei litigavano tra loro dicendo: Come può costui darci la sua carne da mangiare? Allora disse loro Gesù: Amen, amen vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi stessi. Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. La mia carne infatti è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda.
Mangiare la carne: la carne è l’umanità di Gesù, mangiare vuol dire assimilare. La fede non è qualcosa di vago: è assimilare la carne, l’umanità di Gesù, fino ad avere un’umanità simile alla sua. Innanzitutto, lo assimilo comprendendo come lui ha vissuto. Diceva Dossetti: «Non è che noi mangiamo l’Eucaristia, ma è l’Eucaristia che ci mangia, ci assimila, ci divinizza». Capite allora che mangiare questa carne vuol dire avere il pensiero di Cristo e agire come lui.
La carne non solo è da mangiare, ma è da masticare. Esce dieci volte in questi dieci versetti la parola mangiare e quattro volte nel testo greco dove sono tre parole diverse – in italiano han sempre tradotto “mangiare” perché era difficile dirne altre – va masticato, triturato coi denti, per una lenta assimilazione. L’Eucaristia è il riscatto della creazione ed è l’unica possibilità di vivere su questa terra umanamente, da figli e da fratelli, dove tutto ha significato preciso: di dono, di amore, di perdono. Altrimenti tutto ha un significato feticistico di possesso, di dominio e di morte.
Bere il sangue: si separa la carne dal sangue per ricordare innanzitutto la Croce, dove carne e sangue si sono divisi, e poi anche per dire che noi siamo carne, siamo debolezza, ma siamo chiamati a vivere la nostra fragilità in comunione col Padre e coi fratelli, da figli. Se facciamo così beviamo il sangue, cioè abbiamo il sangue, la vita, la vita di Dio, lo Spirito, per cui la nostra carne è animata dallo Spirito di Dio.
Tutto è stato fatto per l’Eucaristia, perché noi ne gioiamo in pienezza come figli, perché noi viviamo la creazione da figli e da fratelli, questa è la vita eterna già ora. Chi mastica la carne e beve il msangue “ha” la vita eterna “ora”, non “l’avrà”: ce l’ha già ora e nel futuro ci sarà la resurrezione, perché chi ama è già passato dalla morte alla vita, ha già vinto la morte. Quanto qui si dice è di una profondità abissale. Noi diciamo di celebrare l’Eucaristia, “fare la comunione”, ma – purtroppo lo si deve dire – il modo con cui questo normalmente è vissuto e percepito, è assai ingrigito, assai formalizzato, cristallizzato rispetto a quello che viene detto qui, in questi termini così radicali, così profondi. Bisogna tornarci sopra. Paradossalmente, non troviamo raccontato nel vangelo di Giovanni il momento dell’istituzione dell’Eucaristia come nei vangeli di Matteo, Marco e Luca. Semplicemente perché tutta la vita del Figlio è Eucaristia, e quindi Giovanni vede tutto come eucaristia. Così il vangelo di Giovanni non contiene la trasfigurazione, perché tutto il vangelo di Giovanni è trasfigurazione, è comprensione del mistero profondo della realtà.
Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui.
Si parla di dimorare. Dimorare l’uno nell’altro è tipico dell’amore che non è confusione, che non fa un frullato di due persone, non è antropofagia, dove uno mangia l’altro e l’altro scompare. È un dimorare reciproco dell’uno nell’altro; poiché colui che tu ami ce l’hai nel cuore, diventa il principio della tua vita, diventa la tua vita. L’altro che ti ama, ha te nel suo cuore, tu diventi la sua vita.
Allora, mangiare del Figlio vuol dire che il Figlio diventa la mia vita. E lui cosa dice di me? Lo stesso: tu sei la mia vita, ho dato la mia vita per te. E questa comunione piena, espressa con la parola dimorare è una delle definizioni più belle dell’amore: essere di casa presso l’altro, anzi l’altro è la casa mia e viceversa, è la comunione.
Questo dimorare è la vera presenza reale, perché la presenza reale non è il fatto che una persona sia qui, può essere qui ed essere con la testa altrove. Uno ti è presente quando lo ami, se non lo ami non ti è presente, anzi se ti è presente ti scoccia. La presenza reale è questo amore, che realmente fa abitare in te l’altro. E tu dove stai di casa? Stai dove ami! E non è un modo metaforico di dire, è un modo reale, poiché tutta la tua vita si organizza su questo che ti sta a cuore.
Come il Padre, il vivente, ha mandato me e io vivo grazie al Padre, così chi mastica (di) me, anche lui vivrà grazie a me. Questo è il pane che è scese dal cielo, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono. Chi mastica questo pane vivrà in eterno.
Grazie al Padre. In greco c’è una parola che vuol dire non solo per ma anche “grazie al”. Ossia vivo per il Padre, vivo dal Padre, vivo del Padre. Se tu mangi questa carne, la lasci entrare in te e la ami, vivi di lui, vivi da lui, la tua vita viene da lui, vivi per lui, il Figlio. Cioè entri nella vita trinitaria, è la divinizzazione dell’uomo che finalmente sa chi è: è figlio del Padre, fratello del Figlio e vede il suo volto in tutti i fratelli.
L’Eucaristia porta a questo, e se non accade, siamo come il famoso bue che mangia un’ostia. Grazie a Dio, però, giorno dopo giorno questa Parola ci trasforma e possiamo addirittura intendere il vangelo di Giovanni come tutto un vangelo eucaristico che spiega questa vita del Figlio, che la comunità celebra nel memoriale della cena del Signore. Non è semplicemente un gesto simbolico: no. Semmai, tutto il resto è simbolo di questa realtà: la realtà del Figlio che vive per il Padre e per i fratelli. Noi assimiliamo, mangiamo, mastichiamo questo, fino a dimorare, a star lì di casa, fino a vivere di lui: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me – dice san Paolo – e la vita che vivo nella carne, la vivo nell’amore di Lui che mi ha amato e ha dato se stesso per me».
*biblista e scrittore
Il testo è una sintesi redazionale della lectio divina tenuta nella Chiesa di San Fedele in Milano nel corso di vari anni. L’audio originale può essere ascoltato qui.
Nella foto, Antonio Pizzolante, «Pane negato», carta, rame, pigmento su tavola, 2010 – per gentile concessione di Galleria Blanchaert