La guerra in Libia sarà un grave danno per la nostra economia. Non solo per le grandi imprese dell’energia, come l’Eni, ma per tutto il sottobosco di Pmi che si accompagnava ai grandi colossi. E il problema è che non colpisce solo i flussi Italia-Libia, ma coinvolge, in generale, i rapporti con l’Africa, anche quella subsahriana.
«Tutta colpa del conflitto, che ha modificato la percezione che gli stati africani avevano dell’Italia», spiega a Linkiesta Alfredo Cestari, presidente della Camera di Commercio Italia-Africa Centrale, di cui è presidente onorario il senatore del Pdl Mario Mantovani, da gennaio anche coordinatore lombardo del partito, e sottosegretario alle infrastrutture.
«Prima, a torto o a ragione, l’Italia era uno stato “buono”». In che senso? «Rispetto a Francia, Belgio o Gran Bretagna, l’Italia non era vista come uno stato ex-colonizzatore che era rimasto in Africa e aveva cercato di fare i suoi interessi». No, l’Italia sembrava un paese amico, che avesse poche cose da farsi perdonare. Questo ci permetteva di avere un vantaggio sostanziale sugli altri paesi «in termini di prezzi, di appalti e commesse».
Le nostre imprese, nei vari settori (energetico, infrastrutture, trasporti, import/export) prosperavano, anche grazie a progetti di co-operazione: per lo sviluppo, ma anche per il profitto. E poi cos’è successo? «Gli stati africani sono rimasti meravigliati dal comportamento dell’Italia nei confronti della Libia».
L’Italia, sottolinea, non ha fatto valere i suoi rapporti storici con Gheddafi. Poteva vantare una posizione «autorevole e di autorità», e non ne ha fatto nulla. «Non è intervenuta nel momento della repressione della rivolta, per frenare il colonnello. Non si è posta come stato mediatore, per allontanare Gheddafi e favorire uno nuovo governo degli insorti. Non ha saputo coordinare aiuti e strategie militari».
«Ora si è visto che l’Italia non ha impedito la guerra, non ha evitato le morti, l’esodo, la distruzione e l’impoverimento della Libia». Correndo dietro alla Francia, «anche Silvio Berlusconi non ha sfruttato il suo vincolo d’amicizia, non solo politica, con Gheddafi». Insomma, un disastro su tutta la linea. E a pagare sono le nostre imprese. Tra quelle che avevano affare in Libia, alcune rischiano di chiudere. Le altre, che intrattengono rapporti con paesi dell’Africa centrale, subiscono gravi danni. Cestari però non vuole specificare quali siano in particolare le aziende associate a Italafrica che stanno soffrendo per causa del conflitto.
«Sono stati fatti passi falsi anche sul piano politico: per trattare della questione libica, gli stati occidentali hanno coinvolto la Lega Araba, che non è in Africa. L’Unione Africana, al contrario, non è stata nemmeno convocata a Parigi. Si è sentita scavalcata. Anche questo non ha giovato all’immagine del nostro paese». Che ha perso, in questo modo, il vantaggio sugli altri. «No, molto peggio: ora è considerato inaffidabile. Debole, al seguito degli altri».
Secondo Cestori di stime non ce ne sono ancora, ma «le perdite sarebbero nell’ordine di diverse decine di miliardi. Soprattutto guardando all’import-export: un mercato, variegato, importante e poco conosciuto. Che va dalle materie prime, alle concessioni della pesca, o al commercio di frutta tropicale».
E ora? «Noi abbiamo ideato un’exit strategy, per la delicata questione africana. L’abbiamo sottoposta al presidente del Gabon, e a Silvio Berlusconi: ho fatto incontrare i due di persona. Il Presidente del Consiglio mi è sembrato colpito». Exit strategy di cui non ha voluto fornire però particolari. Forse qualcosa si farà, se non sarà troppo tardi.