“La scuola non serve”: e in 800.000 non l’hanno finita

“La scuola non serve”: e in 800.000 non l’hanno finita

Bocciature ripetute, frequenza discontinua, cambi di classe o scuola fino all’estrema decisione di abbandonare gli studi superiori e qualsiasi opportunità di formazione. In queste ore, mentre c’è chi si prepara a sostenere il primo vero esame della propria vita, seduto su qualche altro divano d’Italia, c’è chi osserva la scena da lontano, domandandosi come sarebbe stato affrontare la maturità.

Sono un esercito, 800.000 circa, di cui il 60% maschi. Giovani con esperienza di abbandono scolastico precoce. Una cifra, questa, pari al 18,8% della popolazione fra i 18 e i 24 anni. Il che, pone la nostra Italia a quasi 9 punti di distanza dall’obiettivo del 10% di tasso di abbandono scolastico stabilito nella Strategia Europa 2020 e dall’attuale media europea del 14,4%. Il fenomeno varia da regione a regione. I tassi più elevati di dispersione scolastica si registrano ancora una volta al Sud, con la Sardegna e la Sicilia in testa (rispettivamente con 8,3% e 6,6% di dispersione nella scuola superiore di II grado). Il Lazio, triste novità, si attesta al 5,5% – pari ad un totale di oltre 14.000 tra interruzioni formalizzate e abbandoni – al di sopra della media nazionale che è di 4,7%.

L’insuccesso e l’abbandono scolastico dipendono da tanti, forse troppi, fattori. L’idea – raccontano i giovani intervistati da altri giovani del progetto In-contro ideato da Save the Children Italia – è che la scuola non serva, che sia solo una perdita di tempo rispetto a un’esigenza forte e inevitabile di lavorare e guadagnare dei soldi indispensabili per sopravvivere in una società dove il denaro è tutto. Poi c’è lo scarso interesse verso le materie scolastiche e la difficoltà nel rendimento, l’impatto negativo e frustrante dei fallimenti, l’attrattiva esercitata da attività – spesso illegali come lo spaccio – che offrono guadagno immediato. C’è la ribellione verso l’autorità, le regole fissate dai professori e dall’organizzazione scolastica, l’influenza in negativo dei propri “pari”, dentro e fuori la scuola.

Dietro l’abbandono e la dispersione c’è tanto, di tutto. Ma per capirci qualcosa bisogna guardare a fondo. Esaminare l’ambiente sociale e familiare in cui si vive. Perché è da lì che nasce il germe che produce effetti non sempre immediati. I guai infatti arrivano nel domani. Si proiettano sul futuro dei giovani privi di scelte, senza competenze, strumenti o carte da vendere. Giovani alle prese con il mondo ma scarsamente attrezzati per fronteggiare un mercato del lavoro spietato come quello italiano.

Nel mirino dell’indagine presentata da Save the Children che ha coinvolto 800 minori tra i 6 e i 17 anni, ci sono anche i giovani della capitale che, per estensione e complessità, ha permesso di esaminare a fondo tutti gli aspetti del fenomeno, le sue varie sfaccettature. A Roma, i tassi di dispersione aumentano con il progredire dei cicli di studio, attestandosi al 2,3% delle scuole elementari (soprattutto a causa dei trasferimenti), al 6,6% nelle scuole medie e al 20,1% nelle scuole secondarie superiori. Il fenomeno coinvolge i ragazzi tra i 13 e i 17 anni, anche qui per lo più di sesso maschile.

Come per le regioni, anche a livello comunale si registrano sensibili differenze tra municipio e municipio: il record di ritirati, trasferiti e bocciati si ha nel V (Tiburtina, Pietralata, San Basilio con rispettivamente il 6,2% e quasi il 19%), ma anche il I municipio (i rioni del centro storico, Trastevere, Testaccio, Esquilino), il VII (Centocelle, Alessandrino), l’VIII (Torre Spaccata, Tor Vergata, Lunghezza, Torre Angela, Borghesiana), il X (Cinecittà, Don Bosco, Appio Claudio, Morena) e il XII presentano percentuali significative di dispersione (in quest’ultimo si attesta intorno a 9%).

Per Valerio Neri – Direttore Generale Save the Children Italia – servono risposte immediate. “Bisogna prima di tutto combattere l’abbandono che comunque rappresenta l’esito più drammatico della dispersione. E’ poi necessario definire degli indicatori di rischio sia a livello locale che nazionale e fare accordi di sistema fra scuola, istituzioni e servizi territoriali per affrontare in modo coordinato il fenomeno. In termini operativi è necessario ripensare la scuola, proponendo degli interventi differenziati e non cristallizzati in rigidi modelli formativi che male rispondono alle esigenze dei minori, soprattutto di quelli che vivono in situazioni di rischio e marginalità. Servono proposte laboratoriali adeguate, attività che portino i minori a uscire dai contesti chiusi nei quali vivono, momenti di riflessione e di dialogo, attività sportive.

Al di sopra di tutto rimane fondamentale restituire un ruolo attivo ai bambini e ai ragazzi”. Il progetto In-Contro è infatti fondato sull’ascolto e sulla centralità dei minori. “Ne è esempio – conclude Neri – la ricerca partecipata nella quale i ragazzi e ragazze coinvolti non hanno solo raccolto le idee e le storie di vita dei coetanei, ma hanno anche proposto dei percorsi alternativi e delle soluzioni al problema della dispersione scolastica”.
 

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