In questi giorni gli opinionisti americani ripetono un mantra che ha il sapore della marcia funebre per Barack Obama. Dicono che nessun presidente americano dall’epoca di Franklin Delano Roosevelt è stato rieletto con un tasso di disoccupazione che superava il 7,2%: questa era la percentuale dei senza lavoro il giorno in cui fu rieletto Ronald Reagan nel 1984, ma a quell’epoca ci volle il “presidente comunicatore” per convincere gli americani che solo lui poteva rilanciare l’economia. Alla fine di maggio la disoccupazione è salita al 9,1% (14 milioni di americani in cerca di lavoro) e scendere di due punti percentuali in poco più di un anno è considerata una missione impossibile. Anche perché Obama non sembra più avere molte carte da giocare per invertire rapidamente la tendenza.
La Federal Reserve, dopo il crollo dei mercati finanziari del 2008, ha messo sul mercato due trilioni di dollari di investimenti sperando in questo modo di rilanciare l’occupazione, ma ha ottenuto solo di fermare il crollo. Ora altri investimenti pubblici sembrano impraticabili per evitare che l’inflazione vada fuori controllo. Se si aggiunge che il prezzo delle case (cioè il patrimonio degli americani) è in picchiata e il debito pubblico è alle stelle, si capisce che per Obama un candidato moderato esperto in economia sarebbe un pessimo cliente, anche perché le armi per rilanciare il paese finora adottate dal presidente sono risultate spuntate. Esiste un candidato simile?
Eccolo, è appena sceso in campo candidandosi alle primarie repubblicane. Si chiama Mitt Romney: 64 anni, serio, compassato, legnoso come sempre. Gli americani conoscono bene l’immobilità drl suo viso: nelle primarie di quattro anni fa fu battuto da John McCain. Nel discorso tenuto mercoledì in New Hampshire, Romeny ha provato con alcune battute a far sorridere i mille simpatizzanti accorsi per l’annuncio della sua candidatura alla Casa Bianca. Non c’è riuscito. È preparato e autorevole, ma ha un sorriso scolpito nel marmo ed è privo di carisma. Sarà lui il candidato repubblicano nel novembre 2012? Oggi sembra probabile e ci sono diverse ragioni che spingono a crederlo, analizzando razionalmente i diversi fattori in gioco.
Se sarà lui il candidato repubblicano, non sarà un avversario facile da battere per Obama, specie se i numeri dell’economia non cambieranno.
Alle primarie Romney parte favorito: oggi il 17% degli elettori repubblicani lo indica come il candidato preferito. Dopo di lui viene Sarah Palin, con il 12%, tutti gli altri seguono, staccati.
Romney ha un vantaggio rispetto agli altri contendenti repubblicani: è il più moderato e potrebbe strappare molti voti a Obama tra l’elettorato di centro. È stato un imprenditore di successo, ha fondato una banca d’affari che lo ha reso ricco e nel 2002 è riuscito a raddrizzare l’organizzazione dei giochi olimpici di Salt Lake City che stava affondando nella corruzione. Con questo curriculum si è conquistato una certa credibilità nel mondo del business mentre Obama continua a essere considerato un sofisticato accademico, che negli Stati Uniti non è esattamente un complimento.
Certo, una vittoria elettorale di Romney ha diverse controindicazioni. La prima è costituita dalla sua fede religiosa: è ancora da dimostrare che la destra religiosa e la maggioranza degli americani siano pronte a votare per un mormone alla Casa Bianca. Inoltre la sua stessa immagine di moderato potrebbe alienare a Romney la simpatia della destra radicale. Quando era governatore del Massachusetts, Romney varò una riforma sanitaria che assomiglia molto alla contestata riforma di Obama. Sempre in quegli anni spezzò diverse lance a favore del diritto all’aborto. Per questo è indicato, sia a destra sia a sinistra, come un candidato flip-flop, uno che cambia idea a seconda delle convenienze: progressista moderato ieri quando doveva vincere le elezioni nella elitaria Boston, conservatore oggi quando deve conquistare la destra radicale.
Il suo primo nemico, da qui all’estate 2012, quando si concluderanno le primarie, è la destra dei Tea Party, che sta crescendo. Molti sostengono che altri candidati credibili (come Mike Huckabee e Mitch Daniels, rispettivamente ex governatore dell’Arkansas e governatore dell’Indiana, che pure riscuotevano largo credito presso la destra del partito) abbiano deciso di non candidarsi alle primarie proprio perché temevano che i Tea Party avrebbero preteso da loro posizioni troppo radicali. Il clima delle primarie si va surriscaldando, ed è probabile che la battaglia ideologica all’interno del partito repubblicano diventerà incandescente.
La popolarità di Obama ha registrato un guizzo verso l’alto nei giorni successivi all’uccisione di Bin Laden, ma la luna di miele con gli americani è durata poco. I sondaggi fluttuano e negli ultimi giorni il suo vantaggio ipotetico rispetto ai repubblicani si è ridotto a pochi punti. Dopo la morte di Bin Laden nessuno potrà accusarlo di non saper difendere gli Stati Uniti, ma la disoccupazione è un tallone d’Achille pesante per Barack e l’economia sarà al centro della campagna elettorale.
In questa situazione la destra radicale ha lanciato la sua offensiva ideologica chiedendo tagli draconiani alla spesa pubblica. In questi giorni Sarah Palin gira l’America a bordo di un autobus per saggiare la possibilità di lanciare la sua candidatura e alza il tiro delle polemiche: tra l’altro chiede una riforma radicale delle assicurazioni pubbliche, Medicare e Medicaid, che da quasi 50 anni forniscono assistenza sanitaria e aiuti finanziari agli anziani e alle famiglie a basso reddito.
Romney sa che alla fine Sarah Palin sceglierà di non presentarsi. Lei è una pop star e considera la politica come un grande palcoscenico che le consente di vendere milioni di libri e di firmare ricchi contratti di collaborazione con le tv americane. Ma proprio perché non ha niente da perdere politicamente, sarà lei il nemico più insidioso per Romney. Lo sfiderà in campo aperto e cercherà di spingerlo nelle braccia estremiste della destra religiosa e dei Tea Party.
Molti opinionisti sostengono che sia proprio Sarah Palin la migliore alleata di Obama. Se riuscirà a radicalizzare lo scontro, sarà facile per Obama conquistare il centro e replicare il trionfo del 2008. Ma si tratta di un’analisi miope. È fin dai tempi di Barry Goldwater – erano gli anni Sessanta – che la destra radicale americana continua la sua battaglia culturale per limitare la presenza dello Stato nell’economia, senza badare troppo alle tattiche di breve termine, mostrando una vitalità culturale sorprendente. I Tea Party sono la riedizione di quella destra che rinasce per rispondere ai nuovi problemi posti dalla globalizzazione. Le primarie che si stanno per aprire saranno il laboratorio culturale che obbligherà Romney, se vorrà vincere, a ricalibrare il suo programma. Comunque vada, sarà uno spettacolo avvincente. E per Obama sarà una sfida difficile.
Se vuoi approfondire il tema, dello stesso autore leggi sul blog l’articolo Una generazione condannata dalla globalizzazione