Va in onda in diretta in prima serata, si chiama Hotel Patria e parte questa sera su Rai Tre. È il programma che Mario Calabresi, 41enne direttore de La Stampa, conduce da questa sera per un totale di quattro puntate e di cui è autore anche il nostro Michele Fusco. Al centro le storie. Due per ogni serata e ciascuna puntata avrà una parola chiave: passione, coraggio, amore, talento.
Solo che che c’è un problema: la trasmissione è nata in un’Italia e va in onda in un’altra.
Sì, però il filo conduttore è lo stesso perché in questa trasmissione la mia idea è di raccontare un’Italia in cui voglio far vedere dei giacimenti di passione, coraggio e tenacia. Questo non significa raccontare che tutto va bene, significa andare al cuore dei problemi ma anche andare al cuore della gente che prova a farcela. Come ho sostenuto anche in un mio libro e come dimostra questa vicenda, quelli che dicevano che tanto in questa Italia non può cambiare niente, che nulla funziona e può cambiare, nulla si muove, sono stati smentiti dalle ultime elezioni: le cose si muovono e anche cambiano.
Il risultato delle elezioni è un risultato di cambiamento: non è che il filone “buonista” mostri un po’ la corda? Non è che la gente con questo voto abbia espresso più rabbia che non semplice sfiducia?
Se buonista significa non stare paralizzati a piangersi addosso, allora sono buonista. Se invece significa farsi passare addosso tutto, farsi andare bene tutto, allora non sono assolutamente buonista. Io penso che queste elezioni siano state una risposta di molte persone che hanno fastidio per le proposte politiche tradizionali, per gli schieramenti politici tradizionali e che hanno fastidio quando vedono che non sono ascoltati.
Forse hanno anche fastidio per la dittatura dei media tradizionali?
Cosa che vuoi ti dica che è tutta gente che vuole leggere Linkiesta e non la Stampa?
Va bè, per lo meno hanno sfatato un po’ il mito del dominio della tv?
Quando Berlusconi dice che ha perso per colpa di Santoro e poi parla delle altre trasmissioni televisive che gli sono contro, secondo me fa un errore. Interpreta la realtà e anche la realtà dell’informazione – lui che è sempre stato all’avanguardia nel veicolare messaggi e anche all’avanguardia nell’utilizzo della televisione e della pubblicità – con un ragionamento che appare drammaticamente obsoleto. Obsoleto perché quei programmi possono servire, come ad esempio Santoro, a riconfermare nelle persone le loro opinioni, ma soprattutto perché c’è un grado di scetticismo crescente verso la televisione. Mentre invece hanno funzionato tantissimo i social network. A me ha fatto impressione che Pisapia dica: “Alle sei del pomeriggio Piazza Duomo” e un’ora dopo ci siano già decine di migliaia di persone in piazza. Sono anche rimasto impressionato dal fatto che la propaganda e i messaggi contro Pisapia siano diventati in pochissime ore una caricatura, facendoli cambiare completamente di segno. Oppure quel ragazzo che è stato eletto a Cagliari, Zedda, che ha utilizzato i social network per portare al voto e coagulare tutta una serie di giovani che non sarebbero mai andati a votare.
Quindi sei d’accordo che la sinistra ha azzeccato l’utilizzo dei nuovi media, mentre invece la destra è rimasta più indietro?
Non tutti. Secondo me non si può fare un discorso sinistra-destra. Si deve invece fare un discorso di singoli candidati. Non si può far finta che, ad esempio a Torino, Fassino non abbia vinto con oltre trenta punti di distacco sul suo avversario. Eppure ha fatto una campagna molto tradizionale con manifesti murali e tabelloni, nessun messaggio virale, pochissimi social network. Fassino ha vinto perché si trovava in una sfida tradizionale e godeva del fatto che la gente voleva continuità con l’amministrazione precedente. Voleva qualcuno di esperienza e quindi ha vinto. Nei posti in cui c’era maggiore stanchezza, come Napoli e Milano, è passato chi è riuscito a interpretare in modo nuovo l’insoddisfazione delle persone. Non è che si possa dire che il Pd abbia capito quale sia la ricetta. Ci sono dei singoli candidati che hanno saputo interpretare in modo più originale il vento nuovo.
Avendo visto Obama e la sua campagna elettorale, si può dire che internet è stato per la prima volta al centro della scena?
Questa volta c’è stato l’ingresso dei social network, più che di Internet. La Rete era entrata in scena alle regionali dell’anno scorso perché, di fronte ai mancati dibattiti televisivi e ad una campagna elettorale che era stata completamente cancellata dalla televisione, i dibattiti erano stati fatti sui siti internet dei giornali, su Corriere, Stampa e Repubblica. Quest’anno invece sono entrati in scena i social network.
Rete o non rete, Obama vinse dopo il crollo di Lehman Brothers. Solo dopo quello i sondaggi mostrarono un netto distacco da McCain. Secondo te questa volta, con una disoccupazione al 9,1% e con un candidato economicamente preparato anche se poco carismatico come Mitt Romney, il Presidente che ha trovato e ucciso Osama potrebbe non essere rieletto?
Credo che corra un rischio legato all’occupazione e al fatto che il mercato immobiliare continua a crollare. Le persone fanno fatica a trovare lavoro, lo perdono e vedono che l’unica cosa in cui hanno investito perde valore. Questo è sicuramente un elemento molto pesante per lui. Si dice che Obama vince se la disoccupazione scende all’8% o sotto, dato che non c’è presidente che sia riuscito ad essere rieletto con la disoccupazione sopra l’8%. C’è un unica eccezione: il secondo mandato di Ronald Reagan. Però, negli ultimi mesi prima delle elezioni del 1984, si era vista una tendenza positiva di recupero. Quindi, secondo me, non è tanto importante se Obama arriva o meno all’8%, quanto che il 2012 sia un anno in cui, mese dopo mese, cresce l’occupazione. Deve dare l’indicazione di una tendenza. Se riesce a farlo, ha molte chance. Se non riesce, diventerà veramente una battaglia all’ultimo voto.
Infine Milano. Vedendo come sono andate le cose e visto che si era parlato di una tua possibile candidatura a sindaco, hai qualche rimpianto?
Sono felicissimo del lavoro che faccio.