COPENHAGEN – «Mai più un 9 aprile, mai più un 22 luglio», con queste parole l`ambasciatore norvegese, a conclusione della celebrazione tenutasi a Copenaghen il 27 luglio, ha commentato gli eventi di questa settimana nera per la Norvegia. Il 9 aprile del 1940 è il giorno dell`attacco e dell`occupazione della Norvegia da parte della Germania nazista, il 22 luglio 2011 quello dell`attentato alla sede del Primo ministro a Oslo e del massacro dei giovani sull`isola di Utøya. Questo richiamo a una data che ricorda l`aggressione esterna al paese proveniente dall`Europa, e quella recente dell`attentato e del massacro dei giovani del Partito del lavoro è stato certamente ponderato.
Eventi storici e atti di terrorismo che ne richiamano altri alla memoria, attribuiti di volta in volta alla follia individuale – in fondo anche Hitler era un pazzo – scrollandosi così di dosso il bisogno di riflettere sulle cause che rendono questi eventi possibili e che forse danno senso all`insensatezza. Questo rito liberatorio si ripete anche per la Scandinavia, con una rimozione ancor più rapida dovuta all`immagine di società, modelli di democrazia e di stato sociale, prive di conflitti. Ma la storia è diversa.
Conflitti tra e dentro questi paesi hanno attraversato la loro storia che ha portato alla costituzione di tre piccoli stati indipendenti (Danimarca, Norvegia e Svezia) e con nuove richieste d`indipendenza fino al secolo scorso (Islanda e Groenlandia). Forti divisioni interne hanno segnato i passaggi storici principali come nel caso della posizione verso il nazismo, la partecipazione alla guerra fredda e all`alleanza militare della Nato, la costruzione e poi lo smantellamento dei sistemi di welfare, la partecipazione alle “guerre umanitarie” e, infine, al processo d`integrazione europea fortemente contrastato.
Gli anni Cinquanta – Sessanta sono stati la parentesi felice e virtuosa nella storia di queste società grazie a un patto sociale condiviso e rispettato e una forma di governo decentrata e con ampi spazi di autogoverno per i diversi settori della società civile. Un ventennio ricco di sperimentazione sociale e politica, che ha dato vita a forme avanzate di Stato del benessere e ha fatto di questi paesi un`oasi di dialogo e convivenza con i paesi dell`Est Europa e dell`Unione Sovietica e con i popoli in lotta per l`indipendenza come il Vietnam e la Palestina. Il “muro” costituiva anche una fascia di protezione di questi paesi per il controllo dell’emigrazione da Est e per il blocco che esercitava verso le organizzazioni criminali che utilizzarono i Paesi Bassi come porta d`entrata in Europa.
Con la globalizzazione, dagli anni Settanta, e con le scelte politiche da questa imposte, la Scandinavia divenne un`anomalia agli occhi degli Stati Uniti, un ostacolo da rimuovere per destabilizzare i paesi dell`Est e il “crollo del muro”. Ma c`era anche un altro muro da rimuovere, quello dello Stato sociale incompatibile con il nuovo vangelo del neoliberismo, e di forti identità nazionali scomode per una rapida omologazione dei paesi europei alla modernità del “libero scambio” del quale la Comunità Europea si propose come alfiere. È stata avviata un’ azione di pressione per la rottura del patto sociale spingendo i partiti politici conservatori e di destra alla messa in questione dell’egemonia politica socialdemocratica. La liquidazione politica delle socialdemocrazie ha seguito la strada dell`eliminazione delle loro élite storiche – una sorta di “mani pulite” portata avanti con attentati (Palme, ecc.) e con processi per tradimento a favore dell`Urss ( Danimarca e Norvegia) – e ha messo in sella i partiti storici della destra (Conservatori e Liberali).
La socialdemocrazia si è piegata a questa nuova situazione omologando politiche e slogan alla retorica neoliberista e europeista, vittima anche dell’indebolimento del sindacato dovuto alle nuove forme dell`economia globalizzata. La reazione è stata un progressivo spostamento dei voti popolari verso nuovi partiti populisti e antieuropeisti che riassumevano meglio il sentire diffuso, come hanno confermato i referendum popolari sull`Europa sempre respinti. Si è conclusa così l`epoca del pluralismo culturale, del ruolo attivo della società civile con effetti negativi sul sistema dell`istruzione e sociale in genere. In questo contesto di malessere sociale e frustrazione – dovuta a fattori oggettivi legati all`inasprimento del mercato del lavoro e del reddito – si sono inserite in modo crescente organizzazioni criminali e di destra che hanno preso in mano la gestione dei traffici criminali tra l`Est e l`Europa.
La porta dei flussi criminali verso l`Occidente è divenuta la Scandinavia che fa da sponda alle nuove repubbliche baltiche per droga, prostituzione e armi. Nel giro di un decennio il possesso illegale privato di armi è cresciuto fortemente e episodi di scontri a fuco tra bande rivali fa ormai parte della cronaca quotidiana di città come Copenaghen. Intorno a questi ambienti in grado di esercitare attrazione su gruppi sociali emarginati, fioriscono ovviamente infiltrazioni e collusioni politiche come rivelato in questi giorni dalla partecipazione di membri del Fronte Nazionale danese a campi di addestramento militare in Russia. Il loro obiettivo “politico” sono gli immigrati e gli “islamici” ritenuti la fonte maggiore d`inquinamento dell’idea d`identità europea e nazionale. Un modo, questo, per politicizzare lo scontro tra bande per il controllo degli “affari” criminali e un terreno nel quale i contatti tra servizi segreti impegnati nel controllo dei gruppi islamici trovano un terreno favorevole.
*Centro Studi Federico Caffè