I parlamentari sono scelti dai capipartito, lavorano poco, guadagnano troppo, sono al di sopra della legge. Sono queste le tre accuse principali che l’opinione pubblica rivolge agli eletti. Il mondo politico non si accorge che non c’è più tanto tempo per impedire che il discredito dei propri rappresentanti avvolga anche le istituzioni democratiche nel loro complesso. Nel momento in cui la maggioranza degli italiani fa grandi sacrifici e si sente più insicura, i privilegi della casta non sono più accettabili. Gianfranco Fini, sul “Fatto quotidiano” ha anticipato la sua intenzione di proporre al parlamento misure di correzione dei privilegi. Vedremo. Si può tuttavia provare a indicare in quali campi è necessario intervenire. Gli interventi correttivi devono essere profondi e rapidi e devono salvaguardare le prerogative principali dei rappresentanti del popolo, ad esempio lasciandoli liberi nel mandato salvo il giudizio degli elettori, assicurando una giusta retribuzione per impedire che solo i ricchi possano accedere alle cariche elettive, mettendoli al riparo da altri poteri.
Messe in salvaguardia queste prerogative, si può agire in profondità. Un’azione risanatrice della politica, infatti, dovrebbe oggi intervenire sulle quattro accuse che ho citato all’inizio. Si deve abolire il porcellum. Qualunque altro sistema elettorale che ristabilisca il diritto del cittadino nel decidere da chi vuol essere rappresentato è la base dell’autoriforma. Una organizzazione interna che obblighi il parlamentare alla presenza e al voto, ad esempio collegando parte dell’indennità alla produttività è un secondo campo di intervento.
La riduzione degli emolumenti è un obiettivo raggiungibile in due modi abbassando l’indennità e cancellando le voci extra. Ad esempio le spese di segreteria che vengono pagate cash e spesso non vengono effettuate se non con parenti e lavoro in nero. Le Camere possono risparmiare molto in questo campo, riducendo i rimborsi elettorali ai partiti, fornendo servizi diretti ai parlamentari non monetizzabili, abolendo gli uffici individuali costosissimi – se un giornalista può lavorare in un open space anche un parlamentare può avere la sua scrivania in grandi locali e non in stanze singole che costano una fortuna -, limitandoli i “privilegi” ai viaggi gratuiti in treno o in aereo – è giusto che il potere di mandato e quello ispettivo sia senza limiti e si svolga sull’intero territorio nazionale -, disciplinando il fine rapporto come diremo in seguito cominciando ad abolire l’indennità di fine di reinserimento, equiparando il rimborso sanitario alle regole di alcune casse in regime privatistico, ad esempio la Casagit, evitando così il pagamento cash di tutte (e per intero) le spese sanitarie, anche le più eccentriche, ecc.
Andrebbe stabilito il divieto per il parlamentare di svolgere altre attività anche autonome. Il fatto che per alcuni è previsto il divieto di cumulo mentre per medici, avvocati e commercialisti, presenti in grande maggioranza, non lo è, costituisce un abuso. Spesso alcune categorie immaginano lo sbocco parlamentare per moltiplicare la propria fama professionale, è il caso degli avvocati. Il chirurgo, l’avvocato, il commercialista devono lasciare i propri studi privati come fanno, per il loro lavoro, i pochissimi operai, gli insegnanti ecc.
Si deve limitare il diniego dell’azione giudiziaria solo nei casi comprovati, e tipizzati, di fumus persecutionis e di reati d’opinione. Il parlamento, accertato che il magistrato non sta perseguitando il parlamentare, deve lasciare campo libero all’azione giudiziaria. Dovrebbe essere così anche oggi. Va stabilito in modo più rigoroso nei regolamenti parlamentari che l’esame dei provvedimenti della magistratura deve limitarsi solo a questi casi e deve essere sottoscritto un documento finale in cui si dichiara la persescuzione quando si decide di ostacolare l’attività del magistrato, di modo che il Csm possa intervenire. Ogni assoluzione a prirori deve creare un incidente con il potere giudiziario così da dissuadere dal ricorso facile all’assoluzuione preventiva. Il reato di opinione deve essere contestato durante lo svolgimento del mandato. La protezione per attività precedenti non è possibile.
Non c’è dubbio che queste indicazioni vanno accompagnate dall’abolizione del bicameralismo e dalla sensibile riduzione del numero dei parlamentari, di almeno la metà. Va anche presa in considerazione un altra correzione che riscuoterebbe un grande consenso stabilendo per legge il numero ma ssimo di mandati. Dopo tre o quattro legislature il parlamentare deve essere dichiarato ineleggibile. Si parla, infatti, di quindici o ventanni che sono un tempo sufficiente per fare il deputato e il senatore senza che il mandato diventi a vita, per le leggi della cooptazione e dell’auto-tutela della casta.
L’intervento sul trattamento economico dei parlamentari non può essere disgiunto da un altro in direzione del costo delle istituzioni. Il personale che lavora a camera e senato gode di altissimi stipendi e di trattamenti di fine rapporto esorbitanti. Non si può ridurre il compenso dei parlamentari e ridurre il loro reddito senza intervenire su quello di funzionari che spesso guadagnano, anche per funzioni molto basse, più di loro e molto di più dei normali cittadini.
L’intervento sui vitalizi è un altro tema spinoso. E’ difficile intervenire sul pregresso ma sul futuro si può stabilire un minimo e un massimo di possibilità di accesso stabilendo tetti molto bassi. Un opinione pubblica democratica comprende che una giusta indennità e anche un modesto vitalizio sono il prezzo da pagare per impedire che in parlamento possano andare solo i Berlusconi o i Briatore. Essendo un vitalizio si può stabilire che esso possa essere costituito da una cifra forfettaria fissa , ad esempio equiparata al minimo oggi in vigore, indipendente al termine del massimo dei mandati consentiti.
Credo che queste misure, non draconiane, possa ristabilire un clima di fiducia fra elettori ed eletti, soprattutto il limite di mandato cancellerebbe quel professionismo politico che appare ormai insopportabile. La politica deve diventare un’attività a termine e non una scelta di vita.