Dal debito Usa può nascere un nuovo rapporto fra politica e business?

Dal debito Usa può nascere un nuovo rapporto fra politica e business?

Il fotofinish della crisi del debito per evitare l’«Armageddon», come l’ha chiamato Obama, è la definitiva consacrazione degli effetti devastanti del populismo in un momento di grandissima tensione economico-politica come quello attuale. Ma è anche la rottura di un rapporto fra una parte del grande business e una parte della destra. Un rapporto che vedeva i repubblicani come il partito pro business, pro Wall Street, vestali della Reaganomics. Con ampia generalizzazione l’adagio era: le riunioni dei democratici durano ora, perché sono tutti avvocati. Quelle dei repubblicani sono molto più brevi, perché sono tutti businessmen. Ora la frustrazione della Chamber of Commerce che, dopo aver finanziato il Tea Party e repubblicani con 32 milioni di dollari, si è trovata davanti a una serie di ostinati e ripetuti «no» quando ha chiesto di un atteggiamento più morbido, sembra destinata a restare. Ma come scrive il Financial Times «per le lobby che rappresentano Wall Street e corporate America nella capitale Usa, la battaglia per persuadere i repubblicani dei pericoli del default è piena di ironia».Che il danno dal punto di vista economico sia in parte già avvenuto, lo hanno scritto in molti. La reputazione e l’affidabilità degli Usa ne escono a pezzi. Che la politica Usa abbia registrato un livello di divisione che è quasi unico anche per gli standard di Capitol Hill, dove da almeno quattro decenni è in corso una forte radicalizzazione, anche questo è stato spesso sottolineato. Come pure che la classe dirigente stia mostrando una miopia e una scarsità di visione, che fanno rabbrividire.Quello che resta da analizzare, in caso stavolta l’accordo ci sia davvero, è di sicuro quale prezzo politico dovrà pagare Obama e quale i cittadini Usa in termini di tagli assistenziali. Ma è soprattutto questo rapporto fra big business e destra repubblicana, quello che pesa. Quanto avvenuto potrebbe cambiare la mappa delle alleanze fra politica e business, non solo negli Usa. E non è un problema destra/sinistra. L’unica vera divisione che conta in momenti così drammatici è quella fra populisti e pragmatici.Will Hutton, ex direttore dell’ Observer, analizzava in un saggio di tanti anni fa (The World we’re in) come la sinistra Usa abbia potuto perdere la battaglia culturale negli anni ’80 nonostante fosse dotata di un quadro concettuale, quello espresso dalla «Teoria della giustizia» di John Rawls, che provvedeva una ottima sintesi fra socialdemocrazia e individualismo e che la rendeva ben equipaggiata a rispondere alle sfide di quegli anni. Non si era infatti riusciti a modificare l’attitudine degli americani che nei sondaggi si dichiarano al 70% contrari ad ogni forma di redistribuzione. E infatti vinse Reagan e con lui le teorie anti-distributiviste di Robert Nozick di cui nipotini del Tea Party sono la frangia più estrema, così estrema e populista da far rimpiangere il compassionate conservatism di George Bush figlio. Sicuramente dalle ceneri del dibattito di questi mesi sul debito non si potrà cambiare il deep belief degli americani, ma almeno si potranno forse rimescolare le carte di un assetto di potere che rischia di spingerci sempre di più verso il baratro.

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