Sud Sudan, l’indipendenza e il risiko del petrolio

Sud Sudan, l’indipendenza e il risiko del petrolio

Un Paese seduto sopra il petrolio

Le risorse minerarie sono svariate e il petrolio, di cui il Paese possiede cospicui giacimenti, è potenzialmente la risorsa più importante. La sua estrazione è iniziata a metà degli anni ‘90 del Novecento e ha portato, prima all’autosufficienza energetica, poi all’esportazione. Nel 1999 ha cominciato a funzionare l’oleodotto più lungo dell’Africa che collega Heglil al Mar Rosso. In generale il Sudan possiede buone riserve di minerali, ma manca quasi totalmente delle risorse e dei mezzi per la loro estrazione, trasporto e lavorazione. Ricava buone quantità di cromite e salmarino, modeste quantità di ferro, rame, magnesite e manganese. In continuo aumento la produzione di oro. Modesta è la produzione di energia elettrica di origine termica e idrica, fornita soprattutto dalle centrali di Er Roseires e di Sennar, entrambe sul Nilo Azzurro. Il sottosuolo del Sudan meridionale è ricchissimo di minerali preziosi tra i quali oro, argento, diamanti, coltan, tungsteno, uranio, rame e altri minerali preziosi. Fino a oggi queste risorse non sono mai state sfruttate se non a livello locale e in maniera molto approssimativa. Il Governo del Sudan del Sud ha però un piano di sfruttamento intensivo di queste risorse da implementare. Uno dei motivi della separazione è che Juba non vuole dividere i ricavi di uno sfruttamento intensivo delle risorse del sottosuolo con Khartoum così come prevede il Cpa (Comprehensive Peace Agreement) firmato nel 2005. 

Dagli accordi di pace si è giunti a un compromesso per lo sfruttamento delle risorse petrolifere del Sudan. Nell’accordo sono contenute delle clausole di sfruttamento delle risorse da parte delle aziende del settore ma nonostante si esprima la necessità di salvaguardare le “risorse naturali attraverso le pratiche migliori di estrazione” non viene specificato nei dettagli quale sia un metodo consono alla situazione. Secondo stime risalenti al 2009, nel sottosuolo sudanese ci sono 5 miliardi di barili di greggio. Circa il 65 per cento di queste riserve è racchiuso in giacimenti molto estesi. Il ministero dell’energia, guidato da Al-Zubair Ahmed Al-Hassan non esclude nuove scoperte anche se le esplorazioni hanno dato risultati modesti nel recente passato. Il territorio nazionale è suddiviso in 23 blocchi (aree di estrazione), uno dei maggiori (il blocco B) copre una superficie di 118 mila mq: un’ampiezza pari alla metà del Regno Unito. Come risultato, per una concentrazione così marcata delle risorse, e quindi degli investimenti, ci sono solo 3 consorzi a controllo di 7 blocchi. Tra le compagnie più attive e longeve c’è la cinese China National Petroleum Corporation (Cnpc), in Sudan dal 1995 a seguito degli accordi di amicizia con Khartoum.

La regione centrale di Abyei è luogo di esplorazione ed estrazione dagli anni Settanta. È stato territorio oggetto di una disputa etnica, religiosa e politica terminata solo con la fine della seconda guerra civile sudanese e i conseguenti accordi di pace. Considerata un ponte tra il nord e il sud, la Regione produce circa un quarto del petrolio del paese. Il condotto Greater Nile Oil Pipeline attraversa l’area per trasportare il greggio dai giacimenti di Heglig e Unity, nel sud, a Port Sudan sul Mar Rosso passando per Khartoum. Anche per questioni economiche, gli abitanti della regione erano stati chiamati a scegliere se unirsi al nord o al sud. Ma, al contrario rispetto a quanto stipulato negli accordi di pace, la votazione è stata rinviata sine die.

Per approfondire:

Il dossier di Campagna Italiana per il Sudan

La mappa dettagliata delle concessioni petrolifere

La mappa della divisione religiosa del Sudan

Il nuovo inno e la nuova bandiera

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