Era il legittimo erede dell’imperial-regio governo fin dal lontano 1922, all’abdicazione del padre, il beato Carlo, quando l’Austria aveva scelto la Repubblica. E fino al 2007 (quando trasmise i diritti di famiglia al primogenito maschio, Carlo) fu per ben 85 anni un “pretendente” a un trono del quale aveva civilmente accettato negli anni Sessanta la ineluttabile fine. Allora aveva riavuto la cittadinanza e il passaporto austriaco, che si aggiungeva a quelli tedesco, croato e ungherese. E nel secolo XX è stato a suo modo un rilevante protagonista, pur nella discrezione e nella riservatezza di un “vero signore”.
Chi ha avuto l’occasione di incontrarlo al Parlamento Europeo (dove veniva trionfalmente eletto nelle file della Csu, il partito cristiano-sociale bavarese) lo ricorda come un deputato scrupoloso e competente e sempre innamorato della grande idealità dell’”Europa dei popoli”.
Senza ipocriti pauperismi ma pure senza fronzoli, non rinnegava la sua storia e la sua casata: ma trasmetteva la piena consapevolezza che il rango e il privilegio per nascita, censo e cultura avevano un senso solo se accompagnati da una forte etica della responsabilità e dal doveroso impegno civile come servizio al popolo che era chiamato a guidare. E se questo, per i destini della Storia, non avveniva più attraverso il trono, lo era allora secondo le regole e le prove della moderna democrazia. (Il paragone con lo stile di vita delle altre case reali, a cominciare dai Savoia, è per tutti particolarmente impietoso).
E comunque sempre dentro l’Europa unita: il sogno di una comunità di destino, che fosse per sua natura multilingue, multietnica e interculturale, e tuttavia carica di una sentita e collettiva identità. In forme evidentemente rinnovate ma con lo stesso spirito che aveva reso unitario quell’impero asburgico nei tanti secoli precedenti. Ed è forse anche per questo che ha conservato fino alla fine la carica di Presidente dell’Unione Paneuropea, che raccoglie anche i Paesi ancora fuori dell’unità a 27.
E al ruolo di governo si era preparato con gli studi e le lauree all’Università di Lovanio. Dal Belgio era sfuggito all’invasione nazista (un nazismo che aveva combattuto anche con la stima e i rapporti con le comunità israelitiche perseguitate) . Arrivato a Lisbona aveva trovato un aereo mandatogli dal presidente Roosevelt, che lo accolse in America fino alla fine della guerra.
Dai documenti del Dipartimento di Stato americano è emersa di recente una lettura inedita delle trattative di Yalta: nella divisione del mondo tra i vincitori il dittatore sovietico Stalin aveva proposto con forza la creazione di uno Stato mitteleuropeo, stato cuscinetto e rigorosamente neutralista, che comprendesse Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e le regioni limitrofe di Galizia, Rutenia, Slovenia e Friuli Venezia Giulia. Il presidente Roosevelt era stato tentato di accettare, a condizione però (con la spinta della diplomazia vaticana) che alla guida di questo nuovo stato venisse eletto come guida proprio Otto d’Absburgo… L’ipotesi tramontò presto e l’Europa venne divisa per mezzo secolo dall’impenetrabile cortina di ferro.
Eppure Otto alla riunificazione del Continente continuava a pensare e ad attendere l’occasione giusta. Nel settembre del 1989 organizzò un “Picnic europeo” (nome volutamente dimesso) alle porte della città di Sopron, sul confine austro-ungherese che si apriva temporaneamente per lasciar incontrare le famiglie separate da decenni di comunismo. In quel varco festoso si infilarono, tra gli altri, circa ventimila tedeschi della Ddr in fuga per la libertà con le loro rumorose Trabant, l’utilitaria “socialista”. Di lì a due mesi cadeva il Muro di Berlino e nasceva la nuova Europa.
Allora, forse, l’affetto con la quale l’Austria (e non solo) saluta adesso il “mancato” imperatore non è solo la rassegnata nostalgia della potenza perduta, ma l’omaggio a un grande di questi anni incerti e complicati. Certo, soccorre la Tradizione, quanto mai suggestiva ed emozionante. Se il cuore prenderà la via dell’abbazia benedettina di Pannonhalma, in Ungheria, il corpo di Otto riposerà nella cripta dei Cappuccini a Vienna, riunito alla madre dei suoi sette figli, Regina di Sassonia, scomparsa l’anno passato. Il feretro di Otto troverà chiusa la porta della piccola chiesa sulla piazza del Mercato di Vienna che nei sotterranei ospita le tombe degli Absburgo dal 1633. Un araldo busserà chiedendo l’ingresso di «Otto d’Absburgo, Altezza Imperiale, re di Ungheria e Boemia» e via elencando i tanti titoli del casato. Il frate cappuccino risponderà «non lo conosco» per due volte. E aprirà soltanto quando alla domanda «Chi chiede di entrare?», l’araldo proclamerà: «Otto, un povero peccatore…».