E fu così che la Lega Nord si fece tentare dal giustizialismo fiscale. Un articolo sulla Padania di ieri, firmato Marcello Ricci, loda apertamente «la delazione», proponendo di «premiare “le spie” con una percentuale sulle cifre incassate dalle sanzioni». Recentemente il giornale del Carroccio aveva proposto l’istituzione di «ausiliari del fisco» sul modello degli ausiliari del traffico. Ora si è spinto ben oltre: «Bisogna far temere che ogni cliente possa far emergere l’irregolarità fiscale, ponendo l’evasore nella condizione psicologica di comportarsi correttamente, non per virtù morale, ma per calcolo». E l’articolo si conclude con una frase che fa ben capire che l’idea arriva dall’alto che più alto nel partito non si può: «Umberto non vuole far quadrare i conti colpendo pensionati, lavoratori e comuni virtuosi, ma stanando chi, con ruberie, frodi e privilegi ha messo in ginocchio la parte produttiva del Paese, la Padania, che singolarmente considerata è il vagone di testa del treno europeo».
Ma, per Umberto, questo passaggio al dipietrismo tributario è una bella svolta. Il Bossi di lotta ha spesso fatto appello alla «rivolta fiscale», allo «sciopero delle tasse» e, più d’una volta, ha avuto parole di comprensione per chi «non vuole farsi rapinare dallo Stato».
Mentre la Prima Repubblica stava morendo, nel 1992, il Senatùr cavalcò parecchio lo scontento contro le «mani in tasca». Iniziò con una intervista a Italia Oggi, a giugno, parlando di «federalismo fiscale» (un discorso che si sarebbe trovato a dover ripetere a lungo) e sostenendo: «L’evasione fiscale accade negli Stati, come l’Italia, dove non è equo il rapporto tra fisco e contribuenti». Pochi mesi dopo, a settembre, iniziò la battaglia leghista contro l’Isi (la tassa madre dell’Ici). Bossi invitò tutti a pagare «il minimo, ventiduemila lire. Così lo Stato non potrà accusarvi di evasione e, fra qualche anno, quando si farà vivo inserendovela nel 740, potrete aprire un contenzioso».
La Lega, partito di popolo, aveva – per dirla con Marco Formentini, che di lì a un anno sarebbe diventato sindaco di Milano – «colto il totale rigetto della gente per una tassa incostituzionale». Del resto, quella tassa che gravava su uno degli amori degli italiani, la casa, non piaceva nemmeno al partito di massa allora da poco postcomunista, il Pds. Occhetto ne parlò molto male. Pietro Ingrao, alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia lo difese da chi lo aveva accomunato al Senatùr: «Occhetto ha lanciato un grido d’allarme giusto e fecondo su una legge iniqua e assurda come quella della tassazione della casa. Non ha certo predicato l’evasione fiscale. Non sta in piedi l’equiparazione con le proposte di Bossi». Archeologia politica, forse. A cui, per aggiungere un capitolo, si potrebbe sommare l’allora missino Maurizio Gasparri che, neanche un anno dopo, nel luglio ’93 (ormai la tassa si chiamava Ici), definendola «un’imposta di tipo sovietico e incostituzionale» e bruciando in un braciere davanti a Palazzo Chigi le cartelle di pagamento, ci teneva ancora al distinguo della Destra nazionale dal nordista prepadano che di lì a poco sarebbe diventato un alleato ventennale: «La nostra azione è ben diversa dalle boutade leghiste. Quella proposta da Bossi è evasione fiscale. È una sparata demagogica».
Sparata demagogica o no, il tema è stato ripreso più volte. Con particolare virulenza durante le campagne elettorali e i due governi Prodi. Nel 1996, il 30 marzo, in comizio a Verona, Bossi (all’epoca nemico giurato di Berlusconi, dopo il ribaltone) parla chiaro: «Non capisco i commercianti che vogliono meno tasse e si rivolgono al padrone della Standa, che li vuole chiudere. È giusto che i lavoratori autonomi si ribellino; un po’ di evasione fiscale è quasi una legittima difesa di fronte a una pressione reale del 49 per cento del reddito prodotto. Il guaio è che non si sono ancora svegliati i lavoratori dipendenti, che si vedono tagliare gli stipendi del 110 per cento dalle tasse». Parole di cui non si pente, e che ripete, quasi identiche, in comizio a Milano, cinque giorni dopo: «L’evasione dei lavoratori autonomi è legittima difesa davanti a uno Stato di ladri. Nello stesso tempo i lavoratori dipendenti sappiano che i vergognosi sindacati di regime hanno da sempre avuto un compito: frenare i lavoratori. Se un commerciante va dal luminare professor Prodi, trova uno che con l’Iri ha mangiato qualcosa come 100 mila miliardi; se invece va da “quel tal Berluscone” trova uno che ha robe come la Standa, robe che fanno morire i negozi». Stesse parole, il 14 aprile, ancora in piazza, a Saronno, in provincia di Varese, dove aggiunge che, comunque «le prime 25 città italiane che frodano il fisco sono al Sud».
Una distinzione che rimarrà e ritornerà in molti discorsi successivi, quella tra diversi stili di evadere, quello padano e quello terùn. Un’idea ben spiegata nel 2003, quando la Lega, tornata di governo, propone l’istituzione di un Commissario straordinario per il lavoro nero: «Le risorse per fronteggiare la situazione economica andrebbero ricercate nella lotta all’evasione», dice Bossi. «Ma c’è una bella differenza tra il Nord, dove al massimo è un po’ di straordinario fuori busta e il Sud, dove intere filiere produttive sfuggono al fisco».
L’occhio strizzato all’evasione riemerge con la sconfitta elettorale e il ritorno al governo di Prodi. Nel dicembre 2006 a Bossi proprio non va giù la frase del ministro della Giustizia Clemente Mastella, secondo cui «pagare le tasse è anche un dovere cristiano. E chi non lo fa, fa peccato». Pochi mesi dopo, a più riprese, risale in sella al vecchio cavallo di battaglia dello sciopero fiscale «perché la gente vuol mandare via Prodi e bisogna trovare qualcosa di forte», spara a Ponte di Legno per Ferragosto. Un progetto che, entro certi limiti, affascina Tremonti: «Potremmo fare uno sciopero fiscale gandhiano», dice al Corriere della Sera. «La sua marcia del sale in India segnò il rifiuto di pagare la tassa inglese sul sale. Il sistema italiano offre ampi margini per forme di protesta non illegali. Studieremo una serie di sorprese, perfettamente legali, e proprio per questo ancora più efficaci». Ma poi gli alleati (Forza Italia e Udc) costrinsero la Lega ad abbassare i toni e a trasformare lo sciopero in un giorno di protesta da tenersi in autunno, il No tax day. Ormai la Lega era sempre più di governo. E tornata al potere, e dopo le vittorie esaltanti del 2010, sarà lodata da Luca Codero di Montezemolo, il 17 aprile a Bologna, al terzo meeting di Italia Futura, proprio per la sua responsabilità in materia di fisco: «Capisco perfettamente la stanchezza del Nord. Il Sud spreca, la Lega sa governare. Ha molti amministratori capaci. Nessuno ne può più di pagare fiumi di denaro per i forestali in Calabria, i rifiuti in Campania, la sanità in Sicilia… L’Italia ha una pressione fiscale non accettabile ma soprattutto un tasso di evasione immorale».
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