Luigi Berlinguer ha convocato il tribunale interno del Pd per esaminare la posizione di Filippo Penati e decidere sulla compatibilità della sua presenza nel partito. I tribunali “interni” fanno rabbrividire. Nella storia della sinistra, e di quella di tradizione comunista, questa procedura ha una storia infame. Dall’espulsione di Cucchi e Magnani, socialdemocratici ante litteram, all’allontanamento del gruppo del Manifesto è stata un susseguirsi di provvedimenti che hanno teso a salvaguardare la purezza del partito dalla contaminazione degli eretici.
L’eresia di Penati è più grave e riguarda il suo profilo morale gravemente messo in discussione dall’azione della magistratura. Tuttavia anche in questo caso il tribunale interno si rivela lo strumento inadatto a porre riparo a un comportamento deviante. Se l’espulsione per colpe politiche appare indecente, quella per immoralità rischia di essere inadeguata. L’accusa sostiene che Penati per un tempo lunghissimo ha chiesto tangenti e ha addirittura creato un sistema di potere fondato sulle tangenti. La particolarità di questa deviazione sta nel fatto che Penati e i suoi collaboratori hanno favorito e costretto al pagamento imprenditori corruttibili favorendo l’acquisizione da parte loro di posizioni di vantaggio negli appalti pubblici.
Diciamo la verità. Il sistema Penati è largamente diffuso nei partiti politici e si accompagna da un’altra particolarità di questo sistema corruttivo che è quello di “inventare” imprenditori. Non si contano gli uomini di impresa che esistono sul mercato solo perché la politica ha dato loro un ruolo e molti affari. Accanto a un’imprenditoria vera che corre rischi c’è un’imprenditoria protetta che è connessa alla classe politica, di tutti i partiti, senza la quale non starebbe sul mercato.
Per rompere questo circolo vizioso Confindustria potrebbe decidere l’allontanamento di tutti coloro che risultano connessi al sistema dei partiti così come Confindustria siciliana allontana quelli che fanno affari con la mafia. Un’operazione di pulizia di non difficile attuazione visto che in ogni città, o comune, sono largamente noti i nomi degli imprenditori “finti” o “semi-veri” che lavorano solo perché la politica in cambio di tangenti li fa lavorare. La deformazione del mercato è talmente grave che solo un gesto forte può dare l’idea che la ricreazione è finita.
Il partito politico, in questo caso il Pd, potrebbe dedicarsi invece a censire in ogni realtà i casi di connessione fra i suoi dirigenti e i finti o semi-veri imprenditori. Anche qui non ci vuole molto. I dirigenti che devono il loro successo all’affarismo sono noti a tutti e allontanarli ovvero impedire che continuino nella loro azione richiede molto coraggio ma è assolutamente indispensabile. Questo rende il tribunale anti-Penati probabilmente superfluo.
L’ex presidente della provincia, se ha ancora un minimo di dignità, dovrebbe dimettersi dal consiglio regionale visto che ha preso voti per amministrare e non per distogliere denaro pubblico. Ma i militanti e gli elettori del partito si sentirebbero più tranquilli se sapessero che altri Penati non possono più essere tollerati. Anche se il tribunale presieduto da Luigi Berlinguer accerterà e sanzionerà Penati, il tema della diffusione del suo metodo resta aperto. Bersani ha di fronte a sé la responsabilità non di espellere Penati ma di dire al suo partito che ogni contiguità con l’affarismo è da considerarsi conclusa. Le repliche orgogliose lasciano il tempo che trovano. L’immoralità della destra berlusconiana non mette al riparo dalle proprie colpe.
È un modo di fare politica che deve essere sanzionato e interrotto con una rivoluzione culturale seria e coraggiosa che comprenda anche il fatto che il partito di Penati deve chieder scusa agli italiani. L’ex presidente della provincia di Milano vada per la sua strada e si difenda nei tribunali veri. Ma il suo partito deve mettere in moto tutte le contromisure per impedire che il suo metodo continui ad essere la stella polare di tanti suoi dirigenti. Serve cioè un gesto forte e non solo l’allontanamento del singolo reprobo che per anni ha fatto quello che l’accusano di aver fatto senza che nessuno (strano, no?) se ne accorgesse.
Fuori dagli affari, fuori dalla gestione degli appalti, fuori dalla sanità e dalla Rai sono gli unici rimedi per impedire che la questione morale distrugga il Pd. E soprattutto bisogna tornare a misurare i dirigenti sulla base delle capacità politiche e non sulla loro vicinanza a imprenditori generosi e rigenerati. È difficile? Basta controllare le spese di alcune campagne elettorali, il costo di molte segreterie personali, il tenore di vita improvvisamente decollato. C’è il rischio che questa rivoluzione culturale dia vita a una caccia alle streghe che si torni a concezioni pauperistiche? È un prezzo da pagare perché senza una rigenerazione morale la sinistra non può fare politica. L’idea che politica e disinvoltura morale possano (o addirittura debbano, in qualche sao estremo) coincidere ha già fatto troppi danni.