Premetto che io sono uno dei 70.000 fessi che dichiarano (molto) più di 200.000 euro di reddito imponibile. Ho anche un discreto patrimonio mobiliare e un appartamento di proprietà.
Non comprendo le perplessità (peraltro scarsamente motivate) nei confronti di un prelievo sui patrimoni, o imposta patrimoniale, espresse da autorevoli commentatori, quali il direttore del Corriere della sera Ferruccio de Bortoli.
A mio avviso, il nostro Paese si è indebitato in modo esponenziale per due motivi. Dal punto di vista dell’offerta di titoli di debito perché, contrariamente alla vulgata, i privati hanno trasferito sullo Stato un’enormità di oneri per i quali non hanno pagato quanto dovuto tramite le imposte. Dal punto di vista della domanda, presumibilmente perché i creditori hanno fatto affidamento sulla “garanzia generica” costituita dall’immensa ricchezza privata del Paese.
Ora, come ha scritto Massimo Mucchetti, il Paese deve abbattere drasticamente e prontamente lo stock del proprio debito, almeno di un buon 30%. Le partite correnti del bilancio statale sono già attive, mentre il costo in crescita è quello degli interessi sullo stock del debito esistente. La spesa per interessi priva lo Stato di ogni risorsa da destinare ad investimenti e manovre fiscali per stimolare la crescita.
Questo taglio drastico del debito si può realizzare solo con una misura straordinaria, immediata ed una tantum. Stante la genesi del debito, questa misura dev’essere proprio un prelievo sui patrimoni, che personalmente sarei lieto di pagare. Per evitare pelosi rilievi di iniquità, basta esentare la prima casa.
In particolare i patrimoni immobiliari in Italia sono sconfinati e talmente redditizi (vista l’esiguitá della tassazione, ulteriormente ridotta grazie alla cedolare sugli affitti) che un appartamento a Roma costa più del doppio che a Berlino. Sembra normale un tale divario, vista la relativa salute economica di due Paesi? Sembra efficiente che tanta ricchezza sia dirottata verso il meno produttivo degli investimenti?
Se non si introduce una patrimoniale una tantum (oltre a una più razionale imposizione sui patrimoni immobiliari, anche per dare ossigeno agli enti locali), l’unica alternativa è proprio l’aumento dell’Irpef oltre il 50% che questo governo si appresta a varare, con il chiaro proposito di tutelare le rendite dei grandi patrimoni improduttivi.
Ma l’ulteriore balzello che graverà sui 500.000 fessi che dichiarano un reddito appena credibile, oltre ad essere profondamente iniquo e assurdo in un Paese di evasori fiscali (non si era detto che bisognava spostare l’imposizione dai redditi ai consumi?), stimolerà ulteriormente l’evasione, tartasserà i ceti medi e in particolare le professioni intellettuali (che guarda caso non erano rappresentate al tavolo con il Governo) oltre il limite di sopportazione e metterà una pietra tombale sulla crescita, l’altro imperativo che il Paese deve perseguire.
Mi stupisce quindi che, in queste ore decisive, i pochi liberali rimasti non si schierino decisamente a favore di chi produce e contro chi vive di rendita e/o evade le imposte sui redditi.
*avvocato e socio de Linkiesta