Gli analisti di Standard & Poor’s sono stati chiari: a spingere la società di rating a togliere la tripla A agli Stati Uniti non è stata l’incapacità del paese a far fronte ai suoi debiti, ma la polarizzazione politica che ormai rappresenta una debolezza cronica del paese. Da circa un anno, da quando gli estremisti del Tea Party hanno trionfato alle primarie, i repubblicani sono ostaggio di una minoranza radicale; da novembre, quando la destra ha vinto le elezioni, Obama e il Congresso sono ostaggi del partito repubblicano. Come è possibile che un gruppo come il Tea Party conquisti una tale egemonia da mettere sotto scacco il sistema politico del paese che guida il mondo?
Negli Stati Uniti non è una novità che il presidente in carica conviva con un Congresso a maggioranza contraria. È accaduto a Ronald Reagan, a Bill Clinton e a molti altri, ma non era mai capitato a nessuno di loro, almeno nel dopoguerra, di dover affrontare un’opposizione così radicale in un frangente così delicato. Nella storia degli Stati Uniti i presidenti hanno dovuto alzare il tetto del debito oltre cento volte, e Reagan, a cui si ispira la destra radicale di oggi, aumentò undici volte le tasse nei suoi otto anni di presidenza. Oggi il partito repubblicano considera una simile eventualità alla stregua di un alto tradimento e Barack Obama non può sognarsi di eliminare gli sconti fiscali concessi da George Bush all’un per cento degli americani più ricchi.
Qualcuno potrebbe pensare che la crescente partigianeria del sistema politico Usa sia un problema squisitamente americano. Ma non è così. Le incertezze del sistema Usa indeboliscono l’economia internazionale, e hanno un impatto sulla strategia degli investimenti di un paese come la Cina, come ha dimostrato il duro comunicato di Pechino quando Standard & Poor’s ha pubblicato la recente pagella sugli Stati Uniti. Nessuno avrebbe potuto immaginare, fino a pochi giorni prima, che il governo cinese scendesse in campo per lanciare alla Casa Bianca un ultimatum dal suono minaccioso: «Garantite stabilità al vostro sistema politico o sposteremo i nostri investimenti altrove».
Barack Obama sul prato della Casa Bianca (Souza – White House)
Ma perché il sistema politico americano diventa sempre più bipolare e instabile? Osservando il comportamento di deputati e senatori sembra che la parola compromesso sia sparita dal vocabolario politico. È come se il centro politico del Congresso, un’area indistinta di repubblicani e democratici moderati che fino a ieri riuscivano sempre a trovare un accordo, sia stato svuotato. Apparentemente i due partiti si sono attestati sulle posizioni che un tempo erano occupate dalle rispettive componenti radicali.
Molti pensano che la polarizzazione del sistema politico americano sia stata favorita dal sistema elettorale strettamente bipartitico, e in particolare da una consuetudine, chiamata gerrymandering, grazie alla quale a ogni elezione i confini dei distretti elettorali vengono ridisegnati per compensare i cambiamenti demografici. In altri paesi, dove esiste un meccanismo analogo, il compito di ridisegnare i confini dei distretti è attribuito a commissioni indipendenti. Invece negli Stati Uniti questa incombenza spetta ai governatori dei singoli stati, che la esercitano in maniera partigiana per favorire i candidati del partito in carica. (la parola “gerrymandering” deriva dal nome di Elbridge Gerry, il governatore del Massachusetts che per primo ridisegnò a suo piacere i distretti nel 1827).
Spesso questa operazione conviene a tutti e due i partiti. Creando collegi dal risultato certo, spostando le aree a grande maggioranza repubblicana da una parte e quelle a maggioranza democratica dall’altra, si evita di spendere grosse somme per la campagna elettorale. Ma in questo modo si radicalizza il sistema politico. Se non è necessario conquistare il centro per vincere l’elezione, allora prevalgono i rappresentanti delle ali estreme: i più liberal tra i democratici, i più conservatori tra i repubblicani. Questa tendenza è favorita dal meccanismo delle primarie, dove il voto degli elettori più politicizzati – spesso i più radicali – è maggiore rispetto all’elettorato generale.
Militanti del Tea Party chiedono di tagliare la spesa
Grazie a questo meccanismo negli ultimi decenni il numero dei seggi “non competitivi” è cresciuto rispetto a quelli “competitivi”, dove il risultato delle elezioni è incerto. E questo ha avuto conseguenze misurabili: i deputati e i senatori eletti sono sempre più schierati su posizioni radicali. La polarizzazione del Congresso – e la diminuzione del numero di parlamentari centristi – contribuisce a creare un’opinione pubblica divisa, settaria, perché il dibattito politico è sempre più incandescente. È un cane che si morde la coda. I pochi deputati repubblicani su posizioni moderate votano secondo le indicazioni del partito, temono che ci sia un candidato del Tea Party pronto a sfidarli alle primarie. E per i deputati la scadenza elettorale arriva ogni due anni.
La polarizzazione delle élite politiche è cresciuta a dismisura a partire dagli anni Settanta. C’era un’epoca, nei decenni del dopoguerra, in cui l’unità del paese era garantita da diversi fattori, che poi erano stati gli elementi portanti della strategia di Franklyn Delano Roosevelt: il comunismo come nemico da contenere e il governo come manager keynesiano dell’economia. Ma dopo gli anni Ottanta le due tradizionali culture su cui si basa la politica americana hanno cominciato a dividersi e a procedere su strade divergenti.
Obama aveva promesso di farla finita con questo sistema, reintroducendo il pragmatismo che era mancato nell’era Bush. In molti gli avevano creduto, ma Obama ha fallito. Il presidente ha dovuto toccare con mano che in un sistema così polarizzato ci sono questioni come la sanità pubblica, l’aborto, il ruolo dello Stato nell’economia, su cui è impossibile raggiungere una mediazione che accontenti i due schieramenti. Le divisioni ideologiche – almeno tra le élite politiche – sono ormai radicate, legate a tradizioni che hanno spaccato il paese in un conflitto permanente tra due culture contrapposte e inconciliabili. Che fare per riportare il paese a una normale dialettica politica è un interrogativo urgente. La paralisi politica rischia di accelerare il declino dell’impero americano.