Quando lo scorso fine settimana l’agenzia Standard & Poor’s ha abbassato il rating del debito americano dalla tripla A (il massimo livello) alla AA+, il fatto è stato accolto come “storico”, “epocale” e si è parlato di “fine di un’era economica”. Ieri S&P ha proseguito il lavoro e – per logica conseguenza – ha abbassato il suo voto anche sulle emanazioni del governo americano come Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi che garantiscono i mutui ipotecari. Dopodiché un’altra grande agenzia di rating, Moody’s, ha ribadito il giudizio AAA sugli Usa, sottolineando che il paese di Obama può sopportare livelli di debito più alti rispetto agli altri. Moody’s ha anche aggiunto che potrebbe tagliare il rating degli Stati Uniti prima del 2013 se le prospettive economiche e fiscali si indebolissero significativamente, ma ritiene che si arriverà per tempo a una riduzione del deficit. Dunque, è un po’ come al bar sport: per un tizio (S&P) gli Usa non sono tripla A (la notazione che indica il livello più alto di affidabilità di un debitore); per un altro (Moody’s), invece, meritano ancora il voto massimo. Chi ha la verità in tasca? Tutti e nessuno. Il rating è solo un’opinione, per definizione delle stesse agenzie. Il paradosso è, mentre da un lato si continua a dire che le agenzie di rating hanno perso credibilità a causa dei loro errori e dell’incapacità di prevedere i default (ma il rating non ha questo obiettivo), dall’altro si continua a pendere dalle loro labbra come fossero l’oracolo di Delfi. D’altra parte, se si vuole controbilanciarne i giudizi, occorre spendersi con credibilità e spendere argomentazioni convincenti. Le mere rivendicazioni di principio, come quelle che ha fatto ieri il presidente Obama (“Gli Usa restano un paese tripla A qualunque cosa dicano le agenzie di rating”) non servono a nulla. Chi sono allora i veri somari, le agenzie-che-spesso-sbagliano o chi continua ad avere reazioni pavloviane nei loro confronti? Le Moody’s, S&P, Fitch oppure le autorità di vigilanza che continuano a rifarsi ai loro giudizi, obbligando fondi comuni d’investimento a vendere quando il rating di un titolo va sotto una certa soglia?
9 Agosto 2011