«Ho sempre detto che se fosse mai venuto il giorno in cui non potevo compiere il mio dovere e ed essere all’altezza delle aspettative come Ceo di Apple sarei stato il primo a farvelo sapere». E «sfortunatamente quel giorno è venuto»
Steve Jobs si è dimesso con queste parole nella lettera con cui annuncia la sua decisione. Cambia così un’epoca dove Jobs è stato il modello da raggiungere, quello che lascia una società che, nel mezzo della crisi economica, a un certo punto è arrivata ad avere più liquidità del Tesoro Usa e più valore di Exxon Mobil e i cui prodotti, anche in questo scenario economico così negativo, dominano il mercato degli smart phone e dei tablet con vendite a due cifre.
La lettera è stata consegnata al cda ieri e Jobs, 56 anni, raccomanda che al suo posto sia nominato Tim Cook, 50 anni, il suo braccio destro. Il fondatore di Apple , che da gennaio era nuovamente in pemesso medico, resta comunque ufficialmente in azienda come presidente. Cook è a Cupertino da 13 anni, subito dopo il ritorno al timone di Jobs nel 1997, e in questo periodo di malattia ha portato avanti lui l’operatività dell’azienda, come ha fatto ogni volta che il capo si è dovuto assentare in questi sette anni di andirivieni dall’ospedale. «Il Cda ha totale fiducia che Tim sarà la persona giusta per essere il nostro prossimo Ceo» ha detto Art Levinson, componente del cda e presidente di Genentech.
L’annuncio è stato una sopresa e solleva nuove paure sulla malattia di Jobs cui è stato diagnosticata una rara forma di tumore al pancreas nel 2004 e che ha avuto un trapianto di fegato due anni fa, Le ultime volte che si è presentato in pubblico sono state per la presentazione dell’iPad 2 a marzo e alla conferenza degli sviluppatori a giugno.
La casa natale del padre dell’iPhone, col mitico garage in cui è nato il primo Mac, è a pochi chilometri dalla sede di Apple in una strada dal nome significativo per uno con la sua aurea («Christ road»). Non è ancora meta di pellegrinaggio come accade con il garage in cui è nata HP a Palo Alto ma pochi dubitano che diventerà un’altra icona della Silicon Valley. D’altra parte di scommesse ne ha vinte tante, non ultima l’aver sempre puntato sul concepire sia software che hardware sbaragliando chi puntava solo sul primo (Microsoft) o solo sul secondo (Nokia). Una serie infinita di intuizioni che rendono la notizia del suo addio alla guida dell’azienda ancora più triste in un momento in cui la crisi, il vuoto di idee e la mancanza di buona leadership, rendevano la sua esile figure ancora più torreggiante.