Bagnasco frusta il Cavaliere (e non solo)

Bagnasco frusta il Cavaliere (e non solo)

Chiamata in causa e sollecitata a pronunciarsi, la Chiesa italiana non si tira indietro. Nella sua Prolusione autunnale alla CEI, il presidente Angelo Bagnasco le canta chiare. «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune». Per questo, secondo il presidente della Cei, la questione morale «intacca la politica, ha innegabili incidenze culturali ed educative» e «contribuisce, di fatto, a propagare la cultura di un’esistenza facile e gaudente, quando questa dovrebbe lasciare il passo alla cultura della serietà e del sacrificio, fondamentale per imparare a prendere responsabilmente la vita».

Che il bersaglio al riguardo sia il Presidente del Consiglio è del tutto evidente: ed è difficile non attribuirgli quei «comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui» che il cardinale stigmatizza. Certo, saranno soddisfatti quanti pretendevano contro il Cav. un’anatema o addirittura la.scomunica (ma quanto sono ignoranti della Chiesa certe maestrine che pontificano sui giornali…). E citando appunto le ripetute richieste di pronunciamento, Bagnasco ricorda, con un lieve puntiglio, di non aver mai taciuto. Come nelle sue Prolusioni del settembre 2009 (al tempo del torbido “caso Boffo”) e del gennaio di quest’anno quando sosteneva che «…chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda»…

In realtà nell’assistere al tramonto non nobile del Cavaliere, la
Chiesa, che ha il senso della storia, ha un che di amarezza, se non di rimpianto. Magari per il Berlusconi di Onna, il 25 aprile del 2009, quando pareva stemperarsi la feroce contrapposizione della politica italiana. Sono passati poco più di due anni e c’è un disastro anche etico. Come se fossero all’improvviso mancate le stampelle morali al dovere dell’azione politica. D’altronde in quei mesi il Cav. aveva perso la madre Rosa Bossi. E, come capita ai maschi quando a qualsiasi età restano orfani di madre, cade la tensione a dover essere un po’ migliori di come si è: di qui, forse, anche la stagione del bunga bunga, sfacciata e triste.

Poco dopo era scomparso anche don Gianni Baget Bozzo, prete inquieto e vero maestro di politica del Cavaliere che – confessava don Gianni a chi scrive – “si lascia governare, pur con tutti i suoi peccati, ai fondamenti ultimi dell’agire cristiano nella vita pubblica…”. Ma la questione morale – e Bagnasco lo dice, anche se sarà la parte meno ripresa della sua Prolusione – non si risolve con un solo protagonista. Infatti «rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonchè la reciproca, sistematica denigrazione, poichè – è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico».

«La questione morale – rincara la dose – non e’ una debolezza esclusiva di una parte soltanto e non riguarda semplicemente i singoli, ma gruppi, strutture, ordinamenti. La questione morale complessivamente intesa non e’ un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa e’ un’evenienza grave, che ha in se’ un appello urgente».

Come se la Chiesa italiana, che sferza quasi più i “comitati d’affari” che devastano la vita pubblica (e c’è chi ha già visto un richiamo anche al “caso Penati”), si preparasse a un “dopo” tanto complicato quanto impoverito, e che con preoccupazione oggi non intravedesse sul campo i “profeti del nuovo”. Anche perché c’è soprattutto bisogno da tutte le parti in causa di “purificare l’aria”. 

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