Bruxelles approva la Tobin Tax per far pressione sul G20

Bruxelles approva la Tobin Tax per far pressione sul G20

BRUXELLES – Eccola, la Tobin Tax europea. Dopo un anno di gestazione e innumerevoli polemiche, la Commissione Europea ha trovato un’intesa al suo interno e lancia la proposta formale di una tassazione sulle transazioni finanziarie. Sarà formalizzata domani, mercoledì 28 settembre, probabilmente mentre il presidente della Commissione José Manuel Barroso tiene a Strasburgo il discorso sull’Unione davanti al Parlamento Europeo riunito in plenaria. È un passo importante ma è solo l’inizio, si badi bene: l’«accordo» sbandierato con enfasi dalle agenzie di stampa non è un’intesa Ue (che implicherebbe il sì, ancora lontano, degli stati membri e del Parlamento Europeo), ma solo tra i commissari – non tutti, a quanto si apprende, inizialmente convinti delle idee di Barroso messe poi nero su bianco dal suo commissario alla Tassazione Algirdas Semeta. Ora sono tutti d’accordo e la proposta può esser formalizzata. Poi, però, il percorso sarò lungo e accidentato, anche se Bruxelles punta al 2014 per l’entrata in vigore.

Il punto di partenza è che il settore finanziario è esentato dall’Iva, con un risparmio di oltre 18 miliardi di euro l’anno, si tratta, spiegano a Bruxelles, di costringerlo a contribuire. L’idea gira già dallo scoppio della crisi legata al fallimento di Lehman Brothers, ed è molto cara a Germania e Francia, i cui leader, Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, l’hanno nuovamente rilanciata nel loro vertice bilaterale lo scorso agosto. A inizio settembre Sarkozy ha anzi convocato Semeta a Parigi intimandogli di «fare presto» – forte di vari sondaggi che vedono due terzi degli europei d’accordo con la tassa.

Al tempo stesso, però, l’Europa non vuole farsi troppo male agendo da sola, e così si punta per ora a prelievi molto bassi, almeno fino a che non si possa arrivare a un accordo globale (in effetti la proposta è disegnata anche come strumento di pressione in ambito di G20 – se funzionerà resta tutto da vedere). La proposta della Commissione prevede in effetti due aliquote leggere, la cui cifra esatta non è però ancora stata precisata. Una, per tutti gli scambi di strumenti finanziari diversi dai derivati (nei giorni scorsi si parlava dello 0,1%, la cifra sembra essere scesa allo 0,05%), e una seconda una seconda su tutti i movimenti sui prodotti derivati (le indiscrezioni parlano dello 0,01%). Bruxelles propone il principio della «residenza principale» degli interessati, privati o società. Per non penalizzare famiglie e imprese, esclusi dalla normativa sarebbero i contratti di assicurazione, i fondi pensione, i mutui, il credito 
al consumo e il pagamento dei servizi.

La partita, lo dicevamo, è molto difficile, anche perché nell’Ue ci sono già due no molto netti: quello della Gran Bretagna, che ospita la City londinese, e quello della Svezia, che negli anni Novanta provò qualcosa del genere senza gran successo. Entrambe dicono che una simile tassa ha senso solo se attuata a livello globale ma Stati Uniti, ma anche vari “emergenti” non ne vogliono neppure sentire parlare. Il Financial Times, peraltro, ha rivelato un documento sul possibile impatto della Commissione Europea, che paventa un calo medio del pil Ue dell’1,8% se entrasse in vigore la Tobin Tax europea. La ragione sarebbe la fuga dei mercati dall’Europa anche con aliquote così basse: secondo lo studio interno rivelato dal quotidiano finanziario britannico, il 10% delle transazioni nel mercato delle securities si trasferirebbe altrove o cesserebbe del tutto mentre quello dei derivati crollerebbe addirittura del 70-90%.

Cifre da verificare, ovviamente, e che comunque non sembrano impensiarire Barroso. Il quale, incalzato da Sarkozy e Merkel, ha anzi tutte le intenzioni di andare avanti. Scavalcare l’opposizione di Londra, tuttavia, sarà impresa ardua se non impossibile, a meno di improbabili “miracoli” in ambito G20 – e per la fiscalità nell’Ue vige la regola dell’unanimità. Dietro le quinte già si lavora a un “piano B”, che hanno lasciato intendere sia il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, sia il suo collego Didier Reynders: se Stoccolma e Londra non ci stanno, si potrà cominciare con i 17 paesi dell’euro. Ci sarà da convincere, però, gli olandesi al momento piuttosto scettici.

X