Il 7,5% degli studenti della scuola italiana è straniero: un piccolo esercito di 673.800 ragazzi. Una percentuale cresciuta del 7% nell’ultimo anno e addirittura dell’81,1% rispetto al 2005, e destinata a crescere ancora per il 2011. A scattare la fotografia di una scuola multietnica è la Fondazione Leone Moressa. In dieci anni, secondo la Fondazione Migrantes, l’incremento è stato pari a circa il 400%: un numero collegato all’aumento delle famiglie di immigrati nelle periferie delle città e laddove sono concentrati i maggiori poli industriali e agricoli. E la scuola, «che fino ad oggi ha svolto egregiamente il compito dell’integrazione, in qualità di prima istituzione che queste famiglie incontrano», ora è in affanno. Parole di Francesco Scrima, segretario generale della Cisl Scuola. «Per formare cittadini italiani abbiamo bisogno di risorse umane, di mediatori linguistici, della possibilità di interventi finalizzati e individualizzati». Una responsabilità che non investe solo l’istituzione scuola, ma che chiede anche il «necessario intervento degli enti locali per formare e impiegare risorse umane e professionali».
L’organico insegnanti «è stato ridotto di 90mila unità negli ultimi tre anni», spiega Gennaro Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda degli insegnanti. È il famoso piano triennale che però «triennale non è». L’aumento degli alunni per classe, la riduzione degli orari, sono «effetti di questo piano» che entra in vigore a partire dalle prime classi (elementari, medie e superiori) e si riverbera su tutto il quinquennio della scuola primaria e secondaria: «ed ecco che in realtà mancano ancora due anni di tagli».
Alla fine ci saranno 110mila docenti in meno, a fronte del numero inizialmente quantificato di 87.200 unità. Tutti, sindacati e associazioni, assicurano con più o meno forza che questi tagli portano a una riduzione della qualità della scuola italiana. Ad essere in difficoltà «sono soprattutto gli insegnanti e le famiglie più svantaggiate», assicura Di Meglio. «Prima gli insegnanti delle elementari avevano una parte del tempo dedicato non all’insegnamento frontale ma per legge destinato a intraprendere iniziative di supporto agli alunni in difficoltà e all’integrazione dei ragazzi stranieri», spiega il coordinatore dell’associazione professionale. «Ora questo tempo non esiste più, per effetto dei tagli». Risposte? «Non c’è nessuna risposta. Il precedente governo Berlusconi aveva promesso 60mila miliardi di investimenti sulla scuola, poi diventati 30 milioni». Il famoso governo delle tre i: internet, inglese, impresa. Ricordate? «Già. Non si è mai visto un centesimo».
Dal 2010 il numero degli alunni stranieri presenti in ciascuna classe non può superare il 30% del totale degli iscritti. Ma, secondo la Fondazione Migrantes, in circa duemila classi (soprattutto al nord, tra pianura padana, Veneto, Emilia, Toscana, e nelle grandi città come Milano, Roma e Torino) quel limite voluto dal ministro Mariastella Gelmini nel 2009 per evitare le “aule-ghetto” sarebbe stato superato. «Una norma sciocca che non trova applicazione», dice Massimo Di Menna, segretario generale Uil Scuola. «Il fatto è che non c’è più disponibilità per fare attività aggiuntive». Esistono (a Genova, a Milano, a Roma – soprattutto nel quartiere Esquilino) «tante scuole dove c’è una tradizione decennale di presenza di immigrati». Scuole dove è stata organizzata una didattica tutta mirata all’integrazione linguistica e culturale «con ottimi risultati». Ora il fenomeno si sta estendendo in tutta Italia, al Nord, soprattutto, ma anche al Sud.
La geografia degli studenti stranieri vede la concentrazione più alta a Milano, Roma, Torino e Brescia. Secondo lo studio della Fondazione Moressa, a Milano sono 11.096 gli iscritti stranieri alla scuola dell’infanzia, 18.753 alla primaria, 11.244 alle medie e 12.203 alle superiori. Per le province, invece, al primo posto Prato, Mantova e Piacenza. «Alle elementari e alle medie di Prato quasi uno studente su cinque è straniero, a Mantova le percentuali sfiorano il 20% anche per l’infanzia, mentre Piacenza primeggia per le scuole superiori».
Sempre secondo la ricerca, in tutta Italia è nella scuola primaria che si registra la maggiore incidenza degli stranieri sul totale degli iscritti: l’8,7%. Nella scuola secondaria di primo grado l’incidenza è dell’8,5%, nella scuola dell’infanzia dell’8,1% mentre nella secondaria di secondo grado è del 5,3%. Tutti (o quasi: fa eccezione in particolare la scuola dell’infanzia) iscritti a una scuola pubblica. Ma è nella scuola superiore che la presenza di alunni stranieri è aumentata maggiormente: +123,5% negli ultimi cinque anni. Per le elementari è la metà: +65,4%.
Il problema principale è la padronanza della lingua italiana. Secondo la Fondazione Leone Moressa, «nel 67,4% delle case degli studenti stranieri intervistati si parla soprattutto una lingua diversa dall’italiano». E il 13,1% ricorre a ripetizioni di italiano.
In seguito alla manovra del 2008 «abbiamo dovuto smantellare modelli organizzativi come quello della scuola elementare, per effetto dei tagli ma anche dell’eliminazione della compresenza», spiega Scrima. «Ci sono forti difficoltà per l’integrazione degli alunni extracomunitari e per le attività extraformative dei ragazzi». Con la compresenza, «nella stessa classe e nello stesso orario erano presenti contemporaneamente più insegnanti», spiega il sindacalista. «Un insegnante prendeva un gruppo di ragazzi che avevano bisogno di una determinata attività di sostegno», e un pezzo di orario veniva così dedicato agli alunni in difficoltà. La scuola è ora è in difficoltà «per la restrizione del monte-ore». E alle superiori? La ricerca della Fondazione Leone Moressa delinea anche l’identikit degli studenti stranieri quindicenni in Italia: la maggior parte è di prima generazione. Tra questi, più della metà è arrivata in Italia da meno di sei anni. Quindicenni che «aspirano a titoli di studio più modesti rispetto ai compagni italiani»: appena uno su tre vorrebbe laurearsi. (angela gennaro)