In Grecia non hanno neanche il catasto e la Ue lo sapeva

In Grecia non hanno neanche il catasto e la Ue lo sapeva

BRUXELLES. – Il caso della Roche che ferma le forniture di costosi farmaci agli ospedali greci ha consentito di mettere in luce un altro degli aspetti di quella che ormai tutti chiamano la “tragedia greca”. Semplicemente, gli ospedali sono a corto di soldi perché lo Stato è al verde e proprio il sistema sanitario è uno dei grandi buchi neri della spesa pubblica ellenica. Uno dei tanti problemi gravissimi, come l’assenza di una contabilità pubblica affidabile, o, fatto assolutamente unico in Europa, l’inesistenza di un catasto pubblico. Ce n’è quanto basta per domandarsi come sia stato possibile, nel 2000, che l’Ue abbia dato il via libera all’ingresso di Atene nell’Unione monetaria.

Cominciamo proprio dalla sanità. Secondo l’Osce, la spesa in questo ambito in Grecia è raddoppiata negli ultimi quattro anni per arrivare a 9 miliardi d’euro l’anno, il doppio di quanto spende il non certo parsimonioso Belgio, un paese di dimensione analoga. «Molta di questa spesa – ammette Stephanos Komninos, capo del dipartimento commerciale del ministero dello Sviluppo citato da vari giornali ellenici – sono tangenti che circolano tra quelli che decidono le prescrizioni per i medicinali». Una conferma si è vista lo scorso anno, quando un ex manager della DePuy, in un processo in Gran Bretagna, ha ammesso di esser coinvolto in un giro di mazzette da 5 milioni di euro a medici dipendenti della pubblica amministrazione greca per acquistare prodotti della società farmaceutica. Mazzette che ovviamente vengono fatte pagare ai contribuenti, attraverso un rialzo dei costi dei medicinali, tra i più alti d’Europa.

Quella della sanità non è che un pezzo del drammatico quadro di un paese che, se la corruzione fosse anche solo ridotta un poco, e con lei l’evasione (stimata ad almeno 15-20 miliardi di euro l’anno), potrebbe praticamente tirarsi da solo fuori dai guai. Solo di recente il governo ha introdotto l’obbligo di scontrino fiscale, ma i controlli, spiegano fonti comunitarie, «sono ancora assolutamente insufficienti» mentre «la corruzione resta anche qui una piaga». La stampa greca racconta di “tariffe” praticamente pubbliche da pagare agli agenti del fisco per evitare multe salate. E lo stesso governo riferisce che 150 medici che abitano a Kolonaki, uno dei più lussuosi quartieri di Atene, pieno di ville con relativi suv e auto sportive, dichiarano, indisturbati, meno di 30.000 euro l’anno. Uno scenario favorito anche da una burocrazia pesantissima e farraginosa, ma anche dalle gravi arretratezze contabili.

Sembra incredibile, ad esempio, ma in Grecia non esiste un catasto. Nel 1995 è partito una “programma catasto ellenico” per riparare a questa assenza (Atene spera di averlo in funzione dal 2016), ma finora rimane solo il sistema personale: di un cittadino si sa che cosa ha comprato e a quanto, ma non si ha una mappatura geografica delle proprietà immobili.

Questo si aggiunge alla pessima contabilità dello Stato, che si dimentica di contabilizzare costi altissimi (ad esempio i passivi da 1 miliardo di euro degli ospedali pubblici, nel 2009), registra fondi Ue come “entrate” o non considera le spese militari. Una situazione che ha costretto per ben due volte – con la Grecia ormai già nell’euro – Eurostat, l’ufficio statistico Ue, a correggere il deficit ellenico, nel 2004 e nel 2009.

Lapidario un rapporto della Commissione Europea pubblicato per l’Ecofin l’8 gennaio 2010: «le ultime revisioni (quelle del 2009, con una “correzione” del deficit di quell’anno dal 3,7% al 12,5% del pil ndr) sono l’illustrazione della mancanza di qualità delle statistiche fiscali greche (e in generale delle statistiche macroeconomiche) e rivelano come il progresso nella compilazione delle statistiche greche (…) non sono riusciti a portare la qualità dei dati fiscali ai livelli raggiunti da altri stati membri Ue».

Ma tutte queste lacune e arretratezze non si conoscevano già ai tempi della scelta dei membri dell’eurozona? A dire il vero, Atene fu rimandata di 2 anni, dal 1999 al 2001, ma alla fine fu ritenuta da Commissione Europea, Bce e Stati membri ormai pronta per entrare nell’Unione monetaria. La ragione? Quisquilie come il peso della corruzione o l’assenza di contabilità affidabile, spiegano laconici alla Commissione, «non rientrano nei parametri di Maastricht» (tra cui anzitutto il famoso deficit al 3% del pil e il debito al 60%). Le conseguenze le viviamo oggi.
 

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