Perché la lotta all’evasione fiscale non è stata fatta prima? È questa la legittima domanda che molti cittadini pongono quando sentono proclami come quelli sentiti in questi giorni. La risposta è nelle pieghe di una storia piuttosto nota a chi, come i commercialisti, segue da anni le vicende del Fisco italiano dal privilegiato punto di osservazione di chi è nei fatti il crocevia del rapporto tra Fisco e contribuente.
Una risposta che, peraltro, induce a sua volta a chiedersi se la domanda iniziale, per quanto legittima, non sia forse mal posta.
Perché, che ci si sia realmente svegliati, è tutto da vedere. Fino al 1993, il “rilassamento” dello Stato era dovuto alla riflessione in base a cui, mal che vada, c’era sempre il deus ex machina rappresentato dal debito pubblico: tentazione irresistibile per chi ragiona pensando alle prossime elezioni, e non alle prossime generazioni.
Dal 1994 al 1996, finita l’era della incoscienza più totale, alla semi-quadratura del cerchio dei conti pubblici contribuiva in modo significativo una crescita economica “drogata” dalle cosiddette svalutazioni competitive della moneta. Venuto meno anche questo jolly, con la fissazione definitiva dei cambi in vista dell’introduzione dell’euro (1997), si rende necessario, finalmente, avviare una seria riflessione sul rapporto tra fisco e contribuente.
Una riflessione che sfocia in alcuni provvedimenti oggettivamente importanti: la riforma del sistema delle sanzioni pecuniarie, ma anche l’introduzione del ravvedimento operoso; l’entrata in vigore degli studi di settore, ma anche il riconoscimento del diritto del contribuente a compensare debiti e crediti tributari.
L’azione di efficientamento prosegue fino al 2000, con la riforma del sistema delle sanzioni penali, ma anche con l’introduzione dello Statuto del contribuente. Insomma, una sorta di promessa di primavera del Fisco, portata avanti con equilibrio da Vincenzo Visco, il cui diritto a rivendicare meriti per quegli anni deve però considerarsi completamente azzerato da quell’autentico atto di arroganza e follia legislativa che fu l’introduzione dell’Irap.
Nel 2001, Visco cede la mano a Tremonti, il quale, seppur con una breve parentesi di Siniscalco, tira le fila fino al 2006. Sono gli anni del giustificazionismo, ma forse sarebbe meglio dire del vuoto pneumatico: prima (2002-2003) i mille e uno condoni fiscali che riportano la credibilità del sistema fiscale ai minimi storici; poi la legge delega per la grande riforma (2003), lasciata inspiegabilmente inattuata, salvo la parte riferita al reddito delle società di capitali. Infine (2004-2005), l’inizio di sistematiche violazioni allo Statuto del contribuente sotto la crescente necessità di fare in qualche modo cassa.
Nel biennio 2006-2007 ritorna Visco. La lotta all’evasione fiscale viene messa definitivamente al centro dell’attenzione, ma è un’attenzione negativa, ideologica e con la bava alla bocca: vengono varate norme ad categoriam (la tracciabilità a 100 euro solo per i liberi professionisti), viene quasi fatto saltare un intero settore economico (quello immobiliare), vengono inserite presunzioni di evasione e di elusione di ogni tipo e genere. Nei fatti, viene irriso, dal suo stesso padre, lo Statuto del contribuente. In pratica, la lotta all’evasione fiscale, da battaglia comune di tutti i cittadini per l’equità sociale tra i medesimi, viene definitivamente trasformata in battaglia tra categorie di cittadini, da parte di uno Stato che non vuole smagrire e combatte l’evasione solo per avere di più da tutti, invece che per far pagare tutti meno.
Dal 2008, dopo il ritorno di Visco, è la volta di Tremonti.
L’inizio è di chi vuol tornare a suonare la sua musica, nel bene (eliminazione di alcune norme di oggettivo accanimento introdotte dal precedente Governo) e nel male (un nuovo scudo fiscale).
Già dal 2009, però, la presa di coscienza che la festa è definitivamente finita e che solo un diluvio di maggiori entrate può farla continuare, porta a una radicale inversione di rotta, prudentemente tenuta sotto traccia.
È l’inizio di quella che già abbiamo avuto modo di definire “fase Dottor Jekyll e Mister Hyde”. Tra il 2009 e il 2010 vengono introdotte una serie di norme a senso unico pro Fisco che potenziano la riscossione e l’accertamento come nemmeno il Visco “incattivito” del 2006-2007 aveva anche solo pensato di fare, con tanto di tentativo finale di addomesticamento pro Fisco della giustizia tributaria, denunciato senza mezzi termini dai suoi vertici istituzionali e sindacali: pazzesco.
Verso la fine del primo trimestre 2011, con le elezioni amministrative alle porte, il colpo di teatro: la denuncia indignata del rischio di una deriva di oppressione fiscale, da parte dello stesso ministro che ha avallato l’introduzione delle norme che rendono questa deriva un pericolo tutt’altro che infondato.
Il resto è cronaca di queste settimane. Non essendoci margini di manovra, non resta che provare con un “dàgli all’evasore” e sperare, contro ogni logica, che l’Unione Europea e i mercati ce la mandino buona. Norme anti-evasione realmente significative da mettere non ce ne sono. In quanto, tra il Visco del 2006-2007 e il Tremonti del 2009-2010, si è già fatto di tutto e di più.
Si punta forte sugli effetti speciali di grande impatto emotivo (dichiarazioni on line, società di comodo e tintinnar di manette) e avviare una campagna mediatica con cui, tra l’altro, precostituirsi una legittimazione popolare, per quando le norme introdotte con furba discrezione in precedenza cominceranno a produrre i loro effetti (gli accertamenti esecutivi, ad esempio, saranno operativi dal prossimo primo ottobre, mentre la giustizia tributaria è ancora in mezzo al guado). Il tutto, presumibilmente, in attesa di future scadenze elettorali, quando sarà di nuovo tempo di denunciare il rischio quanto mai reale di derive di oppressione fiscale e incrociare le dita.
In definitiva, dunque, la risposta è che la lotta all’evasione fiscale non è mai stata fatta prima (e continua a non essere fatta oggi), perché allo Stato non interessa affatto ripristinare l’equità sociale tra i cittadini. Di contro, però, allo Stato interessa moltissimo aumentare il gettito e bisogna dare atto, sempre sia un merito, che, a partire dal 2006, questo obiettivo viene perseguito da entrambi i principali schieramenti politici con una determinazione feroce.
Chi per fanatismo ideologico, chi per cinica disperazione. Uno degli ultimi emendamenti alla manovra promette ora che gli incassi derivanti dalla lotta all’evasione saranno destinati alla riduzione della pressione fiscale. Non da subito e non per intero: solo dal 2015 e solamente al netto della parte necessaria per contenere deficit e indebitamento. Qualsiasi commento è superfluo.
*commercialista in Venezia e direttore di Eutekne.info