Jürgen Stark si è dimesso. Il capo economista della Banca centrale europea ha deciso di lasciare l’incarico per motivi personali. La conferma, dopo diversi rumours provenienti dalle sale operative, è arrivata pochi minuti fa, direttamente dall’Eurotower. Nel medesimo istante, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha specificato che «per preservare la zona euro ci vogliono modifiche ai Trattati Ue». I mercati crollano, mentre lo spread fra BTP e Bund s’impenna subito dopo le dimissioni, arrivando a quasi 380 punti base secondo Tradeweb. Colpa delle indiscrezioni secondo cui la dipartita di Stark dalla Bce sia per via della sua reticenza nell’acquisto di titoli di Stato italiani e spagnoli nel tentativo di arginare l’epidemia finanziaria della zona euro. Tuttavia, aleggia un’altra possibilità, quella del ritiro volontario del proprio uomo da parte di Berlino. Così facendo la Germania avrebbe voluto forzare la mano con l’Eurotower per ristabilire gli equilibri di potere dopo il massiccio acquisto di bond governativi delle scorse settimane.
La credibilità della Bce è in costante deterioramento. La crisi dell’eurodebito sta mettendo a dura prova tutte le architetture europee e l’istituzione guidata da Jean-Claude Trichet si è ufficialmente spaccata. Secondo quanto si dice nei corridoi dell’Eurotower, la cacciata di Stark è per via del suo veto nei confronti del Securities markets programme (Smp), lo speciale piano di acquisto di titoli di Stato utilizzato dalla Bce per sostenere i mercati obbligazioni di Italia e Spagna, sotto pressione negli scorsi giorni. Come era stato per il presidente della Bundesbank, Axel Weber, anche Stark era contrario a misure di tal caratura, soprattutto senza specifiche garanzie di consolidamento fiscale da parte degli Stati oggetto delle operazioni della Bce. E in questo caso le interpretazioni possono essere due. O è stato messo nelle condizioni di andarsene dalla Bce per dare un segnale forte ai mercati finanziari in merito alla futura integrazione europea, dato che il prossimo ottobre entra in vigore il fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf). Oppure è stato ritirato da Berlino, per cercare di forzare la mano nei confronti di una Bce troppo aperta nei confronti del supporto finanziario ai Paesi meno virtuosi. Ed è molto più probabile che sia la prima opzione quella più vicina alla realtà.
A soffrire della situazione all’interno della Bce è stato anche l’euro. Nel cross contro il dollaro americano la divisa europea è scesa fin sotto quota 1,37, ai minimi da inizio anno. Tuttavia, il trend ribassista era già iniziato ieri. Nei primi minuti successivi all’inizio del discorso di Trichet la moneta unica europea ha iniziato a perdere terreno contro il dollaro statunitense. Nel mercato valutario, l’euro oggi si è contratto fino a ritracciare sotto quota 1,39 i minimi dallo scorso marzo. E secondo le previsioni di Morgan Stanley e Royal Bank of Scotland il trend continuerà. «Tutto dipende da quando e come i politici europei decideranno di risolvere la crisi», spiega un analista FX di Rbs a Linkiesta. «Noi pensiamo che, se si continuerà con questa incertezza, è possibile che si arrivi fino a un cambio Eur/Usd di 1,20 nell’arco di pochi mesi», sottolinea.
C’è poi la crisi greca. Da Atene è nato tutto e fin quando non sarà risolta l’emorragia finanziaria della Grecia, le speranze di una stabilizzazione dell’eurozona si riducono ogni giorno di più. Ieri Trichet ha rimarcato che «sarà fatto tutto ciò che serve» per ridurre i rischi legati a un deterioramento del settore bancario. In altre parole, ha garantito che la Bce porterà avanti la sua politica di misure straordinarie. Del resto, il clima non è positivo. Da luglio a oggi gli istituti di credito tedeschi ha perso il 36% della loro capitalizzazione di Borsa, quelli italiani il 38% e quelli francesi il 43 per cento. Ma in ballo c’è soprattutto la crisi ellenica.
L’appoggio dei privati nell’ambito della ristrutturazione del debito ellenico è la chiave di volta per Atene. Secondo le stime della Reuters, la partecipazione è stata intorno al 70%, di molto inferiore rispetto alle previsioni del 90 per cento. L’Institute of international finance (Iif), la lobby bancaria che sta curando le pratiche del rollover del debito sovrano greco, ha ribadito che non rilascerà ufficialmente i quantitativi del supporto dei creditori privati al secondo piano di salvataggio di Atene. Nel frattempo, avanzano le indiscrezioni secondo cui l’intero programma di consolidamento fiscale ellenico sia stato un fallimento. La trojka composta da Bce, Ue e Fondo monetario internazionale non avrebbe registrato il raggiungimento degli obiettivi promessi dal Governo di George Papandreou. Lo spettro di default ufficiale della Grecia si avvicina sempre di più.