Tarantini, l’uomo che portò i pm dalla parte di Silvio

Tarantini, l’uomo che portò i pm dalla parte di Silvio

Non c’è pace nel cielo di Gianpaolo Tarantini. Non bastasse il groviglio di indagini e processi in cui è coinvolto, è arrivato l’ordine di arresto per estorsione continuata, nei confronti del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ironia della sorte, meno di due anni fa, Tarantini spiegava convinto che c’era “un complotto ai danni del Premier”. Per lui si sono aperti, questo pomeriggio, i cancelli di Poggioreale. Non è la prima volta che, nei suoi 36 anni, conosce le prigioni: già il 18 settembre del 2009 l’imprenditore era stato dietro le sbarre, per tre giorni seguiti da 11 mesi di arresti domiciliari. Allora era una questione di coca party organizzati nelle sue ville: una in Sardegna, vicina alla Certosa del premier, e l’altra a Giovinazzo, nei pressi di Bari.

Quella volta, dietro di sé, lasciava fuori la famiglia ad aspettarlo. Stavolta no: il gip della procura di Napoli Amelia Primavera ha spiccato l’ordine di custodia cautelare anche per la moglie, Angela Devenuto, 34 anni. E non solo loro. Insieme a loro ci sarebbero Valter Lavitola, 38 anni, ex-direttore de L’Avanti!, noto ai più per l’impegno dimostrato la scorsa estate nell’indagine sulla casa di Gianfranco Fini a Montecarlo, suo cugino Antonio Lavitola e Fabio Sansivieri. Tutti per estorsione continuata ai danni del Presidente.

Non è nuovo agli scandali, l’imprenditore Tarantini. La sua vita nel chiaroscuro del mondo di affari e potere lo porterà spesso nelle cronache dei giornali. Il tutto, dopo gli studi svizzeri in scienze industriali, quando diventa amministratore della Tecno Hospital, società fondata dal padre ed ereditata insieme al fratello, che si occupa della produzione di protesi sanitarie.. Fino al 2008 è amministratore, e fa lievitare i bilanci, riportandoli poi sull’orlo del baratro. Inanella collaborazioni e diventa socio di Self, per smettere poco dopo, e della Global System Hospital. E poi il grande balzo nel jetset. Nelle ville in Sardegna, con barche, champagne e cocaina, entra nel giro degli amici di Silvio. Abbraccia Briatore, diventa assiduo del Billionaire. e ne conosce il socio, Tommaso Buti. Ecco il trampolino per arrivare al premier. Se non bastasse, lo aiuta anche Sabina Began, l’ape regina del giro delle donne di Berlusconi. Con donne e affari, stringe i suoi legami e porta a casa promesse e accordi.

E dei suoi amici in affari, conosceva i vizi. Nel 2008, c’era lui dietro al traffico di prostitute che partecipavano alle feste di Berlusconi in Sardegna e a Palazzo Grazioli. L’epoca di Patrizia d’Addario e del lettone di Putin. Tarantini girava per le feste, molte ne organizzava, stabiliva contatti, acquisiva conoscenze. Non solo a destra ma anche a sinistra. Era il metodo-Tarantini: l’infaticabile, il principe della sanità pugliese, agganciava chi gli serviva.

Se è capitato con Silvio Berlusconi, non si deve dimenticare anche l’ex vicepresidente della giunta regionale pugliese Sandro Frisullo, arrestato per un’inchiesta sulle gare d’appalto truccate a Lecce in favore, sembrerebbe, proprio di Tarantini. L’imprenditore della sanità è arrivato fin quasi a sfiorare anche Massimo d’Alema, con l’organizzazione di una cena elettorale, in Puglia, in cui era presente l’ex presidente del Consiglio. Pare che sia stato l’intervento di Michele Emiliano a salvare d’Alema dalle spire di Tarantini, portandolo via di peso. E si è parlato anche dell’attuale senatore Alberto Tedesco.

Nella ragnatela delle sue relazioni intessute tra la Puglia, Roma e la Sardegna, ogni tanto anche Tarantini rimane ingarbugliato. Non sempre le cose gli vanno bene, e le indagini lo raggiungono. I fascicoli aperti sono sette, e nella sua tela sono caduti anche il primario di ortopedia del Policlinico di Bari, Vittorio Patella, e l’ex dirigente dell’Asl Bari, Lea Cosentino. E poi Pasqualino Ciappetta, direttore di neurochirurgia del Policlinico, che avrebbe gradito le regalie di Tarantini per un appalto di favore, e anche il coordinatore regionale della Puglia prima di Tutto (il partito che ha visto sfilare proprio Patrizia d’Addario) Tato Greco, coinvolto, anzi imputato in un’altra inchiesta già a processo, sempre per aver favorito l’acquisto dei prodotti dell’azienda Tarantini negli ospedali. Dei festini a base di coca, Tarantini ha già pagato con tre giorni di carcere.

E ora che ci torna, porta con sé anche Valter Lavitola, ora lontano dall’Italia. Insieme avevano inventato un meccanismo di ricatto proprio verso Berlusconi, l’ex amico. Con la minaccia di un nuovo scandalo, Tarantini chiedeva soldi. Del resto, aveva il coltello dalla parte del manico: nel processo per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, insomma, il caso d’Addario, ha sempre sostenuto, finora, che il premier fosse estraneo, che non ne sapesse nulla, che ignorasse che si trattava di prostitute. Cosa ci voleva per convincere Tarantini a non cambiare versione?

A Silvio è sembrato il caso di cedere al ricatto, e pagare. Il canone di locazione di una casa in centro a Roma e, in più, un mensile di 20.000 euro. I soldi passano dalle mani di Marinella Brambilla, segretaria del premier, a quelle di Valter Lavitola, il tramite dell’operazione. In tutto, 500.000 euro. Ma, come scoprono i magistrati, Lavitola faceva anche la cresta: solo 100.000 sarebbero arrivati alla famiglia Tarantini. Gli altri finivano al cugino, Antonio Lavitola, e a Fabio Sansivieri, «che le impiegavano nelle comuni attività economiche ed imprenditoriali».

Soci, non amici. Lavitola, come sostengono i magistrati, era anche l’amante della moglie di Tarantini. In ogni caso era il tramite con l’entourage di Silvio, spostava i soldi, e con il presidente parlava anche. A lungo: ormai è sapere comune lo sfogo del premier con Lavitola in una telefonata del 16 luglio: «io sono trasparente, sono uno che non fa niente che possa essere assunto come notizia di reato. Di me possono dire solo che scopo». E annuncia: «Sono disgustato: tra qualche mese me ne vado». Come che sia, senz’altro Lavitola era intimo di Silvio, e al presidente riportava il ricatto di Tarantini. Ma poi, con lo stesso imprenditore pugliese, si esaltava: «bisogna tenerlo sulla corda», dicevano i due. «Metterlo in ginocchio, fino a quando non è con le spalle al muro». E poi, sui soldi, che al telefono diventavano «stampe di fotografie», per evitare sospetti in caso di intercettazioni, Lavitola faceva la cresta.

Insomma, non c’è pace nel cielo di Gianpaolo Tarantini: il tentativo di estorcere soldi al Cavaliere è stata una carta giocata male. Con un’ironia: stavolta ai giudici tocca difendere Berlusconi, e mettere nei guai Tarantini. Sembra che Silvio, anche se ormai stanco e vulnerabile, resti sempre un pesce troppo grosso per il giovane imprenditore barese. Nemmeno quarantenne ma già protagonista di una parabola fatta di crolli e risalite, passando per le vie dell’Adriatico e del Tirreno, sulle spiagge e i festini, Tarantini ha costeggiato, arpionato e scalato il mondo in declino della seconda Repubblica. Immergendosi nei flussi di soldi, prostitute e denaro, nuota nel cono d’ombra che unisce la politica e gli affari. A destra, ma anche a sinistra. Solo che quando si sale troppo di grado, a qualcuno viene voglia di accendere la luce anche nei coni d’ombra. 

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