In Puglia, le massaie più avvedute liquiderebbero la faccenda pressappoco così: «I guai della pignatta, solo il mestolo li conosce». Quanto ai guai del Partito Democratico, beh, scordatevi pure la discrezione domestica tipica di queste terre a Sud. A Brindisi, tra le truppe democratiche, si sta consumando la faida più accesa di queste settimane. E dire che si tratterebbe di una faccenda non complicata: ai democratici spetta il compito di occupare una poltrona prestigiosa, quella del presidente dell’Associazione dei primi cittadini italiani. Un caso raro di fair play istituzionale imporrebbe una continuità, la poltrona è stata infatti disimpegnata dall’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, alla naturale conclusione del mandato. Oggi si sceglie il suo successore, dopo il breve interim del pidiellino Osvaldo Napoli. La battaglia che si è inaugurata è però l’occasione per far vivere a galla – se mai ve ne fosse ulteriore bisogno – le mille spaccature nel maggior partito d’opposizione, le continue lotte fratricide e le plateali figuracce.
Toccherebbe dunque ad un democratico il ruolo di capo delle fasce tricolori. Carica prestigiosa, giacché in tempi di tagli e sforbiciate consente un certo protagonismo in funzione antigovernativa. Insomma, si sarebbe trattato di un passaggio quasi banale, non fossimo in casa PD. Il candidato in pectore è – ma a questo punto, era – il sindaco di Bari, Michele Emiliano (classe 1959), metà guascone metà sceriffo. Apprezzato e rieletto sindaco per la seconda volta nel capoluogo pugliese, già magistrato antimafia, abbastanza telegenico e – forse, soprattutto – diòscuro del presidente Vendola, suo eterno rivale ma possente alleato, nonchè probabile successore in via Capruzzi, sede della regione Puglia, se mai per Nichi si aprissero palcoscenici romani. La scelta di Emiliano aveva una netta marca strategica: puntare a Sud. Ritornare, anche simbolicamente, a fare i conti col Mezzogiorno d’Italia, tradito nella sostanza ed illuso nella forma – a proposito della vicenda dei fondi per le Infrastrutture, solo per citare un caso emblematico, tanto si è scritto. Contro Emiliano si è però schierato il «settentrionale» Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia (sorta di roccaforte della sinistra parlamentare italiana) e vice presidente ANCI. Delrio, il cui cognome i correttori automatici mutano in Delirio: l’ironia si spreca ma è tutto vero, ha sparigliato le carte in tavola.
Diverse le obiezioni in campo: Emiliano è a metà del suo mandato – che scade nella primavera del 2014 (la qual cosa farebbe storcere il naso ai suoi stessi colleghi di partito che si proclamano alla ricerca di un presidente “duraturo”), è un «terrone convinto» (ovviamente lo sfogo è tutto leghista, ma non tiene conto della profonda amicizia tra lui ed il sindaco di Verona Tosi, sempre che quest’ultimo sia ancora annoverabile tra le camicie verdi), è «un amministratore in ascesa» (c’è chi, nel Popolo della Libertà, proverebbe volentieri a sbarazzarsi del suo ingombrante presenzialismo, pur di tarparne le scaltre ambizioni). Un pastrocchio, insomma, che non ha intimorito il primo cittadino barese, già di suo piuttosto grintoso (si ispira a Cassano, e non ne fa mistero) ed avvezzo ad imprese difficili: alle primarie del suo partito corse in solitaria con lo slogan sarcastico “le nostre tessere” impresso su un’immagine del mosaico della cattedrale di Otranto (come dire: gli altri comprano i pacchetti dai capibastone per orientare il voto, noi abbiamo fede), si batté con veemenza contro le truppe dalemiane, riuscendo ad ingolfare il meccanismo e a farsi eleggere presidente del Partito, sebbene corresse per la carica di Segretario che andò – appunto – a Sergio Blasi, diessino ortodosso. Oggi comunque i rapporti sembrano ricuciti, almeno stando alle ultime affettuose dichiarazioni.
Per dirimere la controversia è intervenuto finanche il Segretario Bersani che, sebbene avesse dichiarato il suo appoggio al candidato barese, ha voluto incontrare i due competitor per placare gli animi. L’appuntamento a tre si è concluso – manco a dirlo – con un nulla di fatto. L’ex magistrato ha sdrammatizzato: «Il Sud candida uno che si chiama Emiliano e ha fatto la quinta elementare a Bologna: di più non può fare», ma per lui si annuncia un mercoledì difficile. A Brindisi, infatti, sono riuniti i 750 delegati dell’Associazione dei sindaci. Una rimpatriata da sempre tranquilla, peraltro la prassi vorrebbe che il presidente si eleggesse all’unanimità dei presenti per garantire al prescelto un’investitura di massima autorevolezza. Stavolta no, stavolta qualcuno è arrivato a proporre le primarie interne al Partito Democratico pur di risolvere l’avviluppamento degli ultimi giorni. Strategia in pillole: ‘scegliamo un candidato con le primarie inter nos e sosteniamolo compatti in assemblea’. Ma Delrio le primarie le ha scansate con determinazione e non si son fatte. È partito il coro dalle tifoserie: Sergio Blasi, il segretario regionale, giura che «il Pd Puglia è al fianco del sindaco di Bari» e promette: «Mai come in questo momento è utile sottolineare il messaggio che l’Italia è una ed unita. Eleggere uno dei più autorevoli sindaci del Mezzogiorno rappresenta una scelta non soltanto di merito, ma dallo straordinario valore simbolico». Di simbolico, per ora, resta la querelle tutta interna al PD.
Poche notizie sono trapelate dall’assemblea di Brindisi, fino ad ora. E adesso si va alla conta. Nelle ultime ore, è pure scoppiato il caso Alemanno. Il sindaco di Roma Capitale starebbe giocando bene le sue carte (in realtà da un po’: ha trascorso l’estate a maledire la manovra finanziaria e, a fine agosto, guidava il corteo milanese degli amministratori locali in rivolta contro la scure del Ministro dell’Economia) e rischierebbe quasi di essere eletto, stante l’irrimediabile confusione all’interno della compagine democratica. Apriti cielo. L’attivismo di Alemanno ha finito per risvegliare il neo sindaco torinese Fassino, che si dice pronto a scender in campo per ricompattare il suo partito. La cucina politica nostrana pare aver sfornato l’ennesimo pasticcio, di cui vi aggiorneremo presto, vista la facile previsione di stamani: si arriverà alla conta – modalità inedita per l’Anci – e si eleggerà un rappresentante debole cui sarà chiesto di interloquire con un governo affatto munifico. La frittata è fatta.
In serata, infine, arriva la doccia fredda per Emiliano. I sindaci delegati hanno proceduto per acclamazione. Gli esponenti democratici sono stati costretti ad un umiliante testa a testa. Vince l’emiliano minuscolo: Graziano Delrio (medico endocrinologo nato nel 1960, già consigliere regionale e, dal 2004, inossidabile sindaco di Reggio Emilia) ha prevalso sul suo omologo barese per soli quattro voti – 89 a 85. Nella vicenda è intervenuto pure il Governatore Vendola – sinceramente addolorato, secondo il suo staff, sotto sotto gongolante, secondo i complottisti. Ironizza dapprima: «Sono venuto qui per salutare il nuovo presidente dell’Anci, ho aspettato dietro ad una porta e ora me ne vado.
Quello a cui stiamo assistendo non è un bello spettacolo, ma io spero che si concluda bene con l’elezione di Emiliano, che è il candidato naturale alla presidenza, dopo due presidenti del Nord». Il presidente della Regione l’ha poi buttata sul meridionalismo spinto, aggiungendo: «Sembra di assistere ad una conventio ad escludendum del Sud ed è inaccettabile. Mi paiono prove tecniche di secessione. Se l’intenzione è quella di abbandonare il Sud, io mi ribello». Ha tuonato contro il rischio di «un’Italia divaricata», eventualità connessa alla mancata elezione del corregionale, ed è andato via.
Domani si scatenerà un fuoco incrociato. Fuoco rigorosamente “amico”: il classico tutti contro tutti, à la PD. A breve l’assemblea congressuale Anci dovrà ratificare la nomina, eleggendo il suo nuovo presidente. Sta di fatto che, proprio nel momento più difficile della storia degli enti locali, il rappresentante dei Comuni italiani dovrà confrontarsi – prima ancora con le tante richieste dei suoi colleghi – con le polemiche noiose sulla sofferta elezione tanto che la sua prima dichiarazione raccontano sia stata un umile: «Dobbiamo chiedere scusa a tutti».
prima pubblicazione: 5 ottobre, ore 19.40